Google ha introdotto nella giornata di ieri il suo pulsante “+1“. Si tratta, semplificando, di una sorta di “mi piace” traslato al mondo di Google, cercando di aggiungere alla ricerca una funzione sociale che fa della condivisione un valore aggiunto tutto da scoprire. Al momento il pulsante è accessibile soltanto sul motore di ricerca, affianco ai risultati che compaiono una volta composta la propria query, ma presto saranno anche disponibili per essere ospitati su siti Web terzi. A quel punto il quadro sarà completo ed il “+1” sarà il rivale vero e diretto del “Mi piace”. Ma se è questa la direzione che Google intende percorrere, allora il motore si sta probabilmente avviando verso una partita persa. E l’errore potrebbe essere imperdonabile.
I vantaggi
Google può ricavare dai click sui “+1” importanti informazioni tanto sull’utilizzatore del motore, quanto sui risultati del motore stesso. Può sapere ad esempio quali siti vengono contrassegnati da ogni utente e al contempo, può sapere quanti siti vengono contrassegnati con maggior intensità, quali sperimentano una crescita più intensa e quali invece registrano più visite che non “+1”.
Il bello di +1 è la rilevanza che attribuisce all’informazione: troverete i suggerimenti giusti (perché provengono da persone che contano per voi), al momento giusto, proprio quando state cercando informazioni su un argomento specifico, e nel posto giusto (i vostri risultati di ricerca)
Google da tutto ciò può ricavarne anzitutto informazioni di grande importanza per gli inserzionisti, poiché può trarre da ogni utente una serie di scelte volontarie che è possibile tramutare in gusti, affinità, tendenze, desideri: tutta roba monetizzabile, tutto materiale con cui ricavare migliori alchimie dagli algoritmi AdWords e AdSense. Per contro di ogni sito Web è possibile valutare il tipo di utenza che esprime il proprio gradimento, capire eventualmente la natura di tale gradimento e monitorare con maggior efficacia gli spostamenti degli utenti tra le varie pagine online.
Privacy e briciole di pane
Google ha voluto mettere fin da subito le carte in tavola con estrema trasparenza: ogni click che verrà effettuato sarà pubblico. Ogni “+1” avrà delle conseguenze e sarà tracciato, comparirà sulle pagine dei Google Profile e sarà elencato sulle SERP quando la query è composta da una persona con cui si è in contatto. Un’altra cosa, però, non è stata precisata: il “+1” consente di tracciare gli utenti anche quando non è attivato? Google, insomma, può conoscere il percorso online di ogni singolo utente semplicemente “unendo i puntini”, e cioè tenendo traccia di tutte le visite che hanno visto comparire sulla pagina un’icona “+1” cliccabile?
Su quest’ultimo aspetto non si hanno indicazioni specifiche. Quel che si sa è il fatto che Google non fa mistero del fatto che i dati dei “+1” siano pubblici (anzi, nascono teoricamente con questa specifica finalità “social”), ma potrebbero essere usati secondo altre modalità. Del resto non sarebbe questa una novità: chi ricorda l’analisi di Feliciano Intini a proposito del “Mi piace” di Facebook potrà riversare le medesime osservazioni sul “+1” di Google e moltiplicare il tutto per l’incredibile quantità di dati già in possesso di Google a proposito delle tracce che ogni singolo navigatore lascia nel proprio passaggio online.
Ogni “+1” (con click o senza click) potrebbe essere una briciola di pane con cui ogni navigatore contrassegna il proprio percorso. Google potrebbe raccogliere tutte queste tracce ed avere, senza la piena consapevolezza da parte dell’utente finale, informazioni aggiuntive da sommare a quelle ottenute dall’analisi delle email, dai click sulle pubblicità, dalle ricerche effettuate, eccetera.
Sta a Google dimostrare il contrario. Sta a Google far completa chiarezza sulla questione.
La brutta copia del “Mi piace”
Va detto con estrema chiarezza: “+1” altro non è se non la brutta copia del “mi piace” di Facebook. “+1” è la risposta ad una inattesa rivoluzione che ha sparigliato il gioco. Google, nell’impossibilità di accedere ai dati che Facebook sta rastrellando su una community da centinaia di milioni di persone, ha prima messo il bastone tra le ruote del social network e quindi ha creato una soluzione alternativa che possa fungere da surrogato. Anche Google vorrebbe sapere cosa piace agli utenti, ma un click su un link non è sufficiente: serve un’espressione volontaria, serve una dichiarazione libera, serve un’espressione diretta.
Si chiama +1 l’abbreviazione digitale che sta per “te lo consiglio”. […]
Supponiamo, ad esempio, che state programmando una gita invernale a Tahoe. Potreste vedere un +1 di uno zio appassionato di sci proprio di fianco al risultato di ricerca di uno chalet collocato nell’area di vostro interesse. Oppure, immaginate di cercare una nuova ricetta per la pasta e di veder comparire +1 del vostro compagno di stanza di università, noto per le sue abilità in cucina. E anche se nessuno dei vostri amici fosse “caffè-dipendente”, possiamo comunque mostrarvi quante persone sul web hanno dato il loro +1 ad esempio ad un bar collocato nella vostra zona
E spunta così il “+1”: eliminate le stelline che contrassegnavano particolari url, si passa al “+1” che si rivolge agli utenti in modo più esplicito. Non è una sterile stellina, ma non ha nemmeno l’efficacia del “mi piace”. Il contesto, soprattutto, è completamente un altro. Per questo il “+1” potrebbe non funzionare. Per questo Google potrebbe essersi infilato in un vicolo cieco.
Google non è un social network
Si va su Facebook per sorridere, per confidarsi, per condividere, per esprimere sé stessi, per costruire parte della propria identità virtuale. Si va su Google, invece, per cercare. Google è il miglior strumento di ricerca esistente. Google è LA ricerca, e se esiste il termine “googlare” un motivo c’è. Non si va su Google per esprimere sé stessi, non ci si va per condividere. Facebook è un luogo, Google uno strumento. Facebook è una community, Google è una tecnologia.
È qui che si affossa il progetto “+1”: se il “mi piace” aggiunge semplicemente qualcosa a noi stessi, il “+1” è invece qualcosa che potrebbe migliorare la nostra ricerca (ma l’utente potrebbe dare per scontato il fatto che Google sia già il migliore e dovrebbe allora mettere in discussione questo assunto), che potrebbe migliorare l’advertising (ma non se ne ricava nulla), e che potrebbe portare tale informazione sul proprio Google Profile (una terminazione del tutto inutile del network di pagine di Google). Il “+1” non serve all’utente, ma serve tremendamente a Google. Se Google vorrà costruirci su il proprio impero, dovrà trovare il modo di farlo piacere a tutti.
Google non è un social network e, soprattutto, non ha un social network. Nel tempo ha fallito con Orkut, ha fallito con Google Buzz e ha fallito con i propri Google Profile. Google non sa pensare come un social network e lo dimostrano i fatti: la sua mission è quella di organizzare tutta l’informazione del mondo ed uscire fuori da questo recinto proietta il gruppo verso terreni inesplorati in cui il team non sa muoversi. A minare alla base il credo nel “+1” è l’esperienza del passato: Google non è un social network, non ha mai saputo esserlo e difficilmente imparerà ora, improvvisamente, sulla base di un “+1” da disseminare sul Web.
Quando la lepre insegue
Per anni si è potuto schernire Bing perché seguiva pedissequamente Google in ogni suo passo. Ne ha ricalcati gli algoritmi, ne ha copiati i risultati, ne ha simulati i servizi. Poi, improvvisamente, nel giro di poche ore un enorme punto interrogativo scende sul settore: se Google copia il “mi piace” di Facebook (la cui proprietà, va ricordato, è in parte nelle mani di Microsoft) e se Microsoft si presenta al cospetto della Commissione Europea per depositare una denuncia all’antitrust, vien da chiedersi se qualcosa non stia cambiando. Vien da chiedersi se la controparte non possa avere in mano la criptonite che può fermare anche Superman. Vien da chiedersi se Google non abbia iniziato ad inseguire, ossessionato all’idea di quel “mi piace” troppo invadente per essere ulteriormente accettato.
Il quadro della situazione del resto sta cambiando con Bing che avanza, Facebook che si impone, Eric Schmidt che lascia e la Commissione Europea che inizia a spulciare le query per verificare che sia tutto regolare. Scricchiolii che è facile ignorare, ma che negli anni potrebbero lasciare qualche crepa pericolosa. Del resto anche Altavista dominava. Anche Internet Explorer dominava. Anche i desktop pc dominavano.
Diamogli una possibilità
Si potrebbe altresì pensare che tutto quel che sappiamo oggi altro non è se non la punta di un iceberg ben più grande di quanto non si possa immaginare. Si potrebbe anche pensare che l’intelligenza degli algoritmi di Google sia in grado di andare ben oltre i “+1”, estrapolando dai trend complessivi dati complessi che è possibile riciclare con successo sul motore, sui canali advertising e sui futuri progetti del gruppo.
Del resto il “+1” è destinato a diffondersi comunque rapidamente. Appena sarà disponibile per tutti i siti Web terzi, saranno in molti ad adottarne l’uso al fianco delle icone di Facebook e Twitter (i vecchi Digg, Delicious e simili sono ormai perlopiù dimenticati). Una volta disponibile inizierà a raccogliere click, ma la sua utilità sarà reale solo se la diffusione sarà capillare, se la presenza sarà pervasiva e se i riscontri saranno sufficienti da motivare ulteriori click.
Se oggi il layer “social” può sembrare un obiettivo, inoltre, un domani potrebbe invece essere semplicemente uno strumento da sfruttare per andare oltre il vecchio Pagerank verso un nuovo indice fatto di molti ingredienti in più. Se i dati raccolti dai “Plus One” offriranno al team di Matt Cutts informaizoni intelleggibili e sfruttabili, allora Google avrà in mano un’arma aggiuntiva. Il tipo di utilizzo che se ne si farà è altra questione: gli equilibri della ricerca sono complessi, ma Google ha sempre dimostrato di saperli gestire meglio di chiunque altro.
Il “+1” merita una possibilità a prescindere, se non altro perché nato a Mountain View ove la più genuina innovazione (definizione che la stessa Microsoft ha concesso alla controparte nel documento di denuncia alla Commissione Europea) ha avuto luogo nell’ultimo decennio. Nel momento in cui nasce, però, il “+1” sembra un progetto viziato da quella stessa ossessione che per anni l’intera concorrenza di Google ha avuto nei confronti del leader del mercato: la copia, l’inseguimento, la replica. Google è invece stato per anni il nuovo, lo stupore, la meraviglia. Quando questo meccanismo si inceppa vien da pensare che non sia un intoppo occasionale e che qualcosa nel lungo periodo possa essersi incrinato.
Diamo una possibilità al “+1”. Ma per il momento, in questa storia fatta di “se” e di “ma”, a questo elemento non daremo il nostro “mi piace”.