Il 29 aprile chiuderà un servizio già virtualmente chiuso da tempo: Google Video non sarà più visibile e coloro che vi hanno caricato dei filmati avranno tempo ancora fino al 13 maggio per salvarli. Poi sarà l’oblio.
Cronaca di una morte annunciata per il servizio video di Big G, superato da YouTube, il gigante del video sharing acquisito da Mountain View nel 2006 per 1,65 miliardi di dollari. Google Video era ormai un sito archeologico, testimonianza di un’epoca in cui il motore di ricerca aveva bisogno di un proprio archivio di filmati, nato il 25 gennaio 2005.
Prima di decidere di staccare la spina, erano già arrivati segni premonitori: dal 2009 Google ha impedito nuovi upload, nell’ultimo anno si sono moltiplicate le iniziative volte a trasformare YouTube in una grande piattaforma-asset di Google per portarci veri e propri canali tematici e eventi in diretta.
YouTube è talmente grande coi suoi 200 milioni di filmati e miliardi di visite che il Web quasi non si accorgerà della scomparsa del vecchio archivio Google, e poi è molto relativo, visto che c’è tutto il tempo di trasferirlo.
Questo evento però ci permette una riflessione: affidare al Web la nostra memoria, i contenuti legati alla nostra identità, è stimolante, permette livelli di creatività e condivisione unici nella storia del pensiero. Ma è anche pericoloso credere si tratti di un rapporto eterno: le strutture che ci ospitano sono soggette a un decadimento piuttosto repentino e neppure programmato (come succede con gli elettrodomestici, ad esempio).
Per non parlare del fatto che Google, Apple, Microsoft, per citare i più noti e globali, sono tutt’altro che infallibili: non si contano le piattaforme, i device, i servizi che sono durati come un ballo dell’estate. Un po’ poco per metterci i nostri ricordi più cari, non trovate? Sempre meglio un backup.