La Rete è una grande risorsa per i giornalisti, che con essa realizzano il sogno proibito della professione: essere ovunque. Ora quel sogno è alla portata di tutti, dato che un’applicazione molto utilizzata (e apprezzata) dalle redazioni, Storify è aperta ufficialmente al pubblico.
Un destino inevitabile per la start up californiana (finanziata con due milioni di dollari da Khosla Ventures) nata per aiutare i professionisti dei nuovi media, che oggi darà la possibilità anche al citizen journalism (il giornalismo partecipativo) di sfruttare la sua capacità di raccogliere e organizzare, utilizzare e condividere tutte le informazioni sparse nel Web e in particolare sui social network.
Il successo di Storify (cinquemila siti partner, 13 milioni di visite, di cui 4 solo nel mese di marzo) nasce dal fatto che con semplici drag and drop dei diversi contenuti disponibili su Facebook, Twitter, Flickr, YouTube, è possibile costruire una storia, un vero e proprio reportage 2.0 su un dato evento, integrandolo con i propri contenuti, di commento o creati appositamente.
Il sistema genera un unico link al contenuto, costantemente aggiornabile con news feed dei termini di ricerca, che si può pubblicare in altri siti, blog, testate online. Come ha fatto anche il noto Huffington Post, uno dei tanti utenti di Storify. Al Jazeera ha addirittura creato un talk show, “The Stream”, basato su questa applicazione.
Questo percorso dal Web ai media e viceversa è stato sperimentato per sette mesi da alcune grandi testate americane, a partire dal New York Times, che per primo ha dato la notizia dell’accesso pubblico all’applicazione, tessendone le lodi e citando la sua utilità durante le rivolte nei paesi arabi e in occasione dello tsunami giapponese.
Ora che è disponibile per tutti vale davvero la pena fare una visita e cominciare a capire il suo funzionamento, scoprendo così come alcuni giornalisti sembrano tanto bravi e capaci di coprire facilmente grandi spazi e molti eventi contemporaneamente. Servizi come Storify sono alla base di un genere di giornalismo per il quale non è ancora stato trovato il termine: alcuni lo definiscono “curation journalism“, per distinguerlo dalla più comune attività degli aggregatori e dei motori di ricerca.