Apple sembra aver fatto un importante passo indietro circa l’obbligo di acquisti in-app sulle applicazioni del proprio App Store. A notare la cosa è MacRumors, da cui giunge un confronto diretto circa la sezione 11.13 (ora 11.14) delle App Store Review Guidelines. Questa la prima versione:
11.13 Apps can read or play approved content (magazines, newspapers, books, audio, music, video) that is sold outside of the app, for which Apple will not receive any portion of the revenues, provided that the same content is also offered in the app using IAP at the same price or less than it is offered outside the app. This applies to both purchased content and subscriptions
Questa, invece, la versione nuova comparsa da poche ore:
11.14 Apps can read or play approved content (specifically magazines, newspapers, books, audio, music, and video) that is subscribed to or purchased outside of the app, as long as there is no button or external link in the app to purchase the approved content. Apple will not receive any portion of the revenues for approved content that is subscribed to or purchased outside of the app
Cambia tutto o quasi, insomma. Stando alle regole indicate, infatti, viene meno da parte degli sviluppatori l’obbligo di offrire sull’App Store i medesimi prodotti offerti all’esterno al medesimo prezzo (o inferiore). Fino ad oggi era questo il diktat imposto, infatti, da Cupertino: l’offerta su App Store doveva essere la più conveniente in assoluto, il che metteva gli editori con le spalle al muro: offrire contenuti su App Store, infatti, era diventata ormai una scelta di campo e di principio. Scelta che, però, non tutti hanno dimostrato di voler seguire.
Due casi su tutti hanno fatto rumore: Playboy prima ed il Financial Times poi. Per entrambi la scelta è stata comune: rinunciare all’App Store per poter offrire ai propri utenti abbonamenti esterni sui quali non ricade la trattenuta del 30% imposta da Apple a chi sviluppa per il proprio marketplace. Alla luce del cambiamento delle App Store Review Guidelines, gli sviluppatori che sviluppano i propri contenuti su Web App (in HTML5) potranno ora replicare la propria offerta anche su App Store, rincarando eventualmente il prezzo del 30% per potersi garantire i medesimi margini. Oppure potranno acconsentire all’accesso dei contenuti (la cui sottoscrizione è avvenuta tramite strumenti terzi) al patto di non offrire pulsanti che portano l’utente verso acquisti esterni. Apple non vieta più la vendita esterna, insomma, ma chiede di non poter essere veicolo di business per entità terze.
Per Apple è questo un fondamentale passo indietro rispetto ad una presa di posizione netta e radicale intrapresa soltanto ad inizio 2011. Un passo indietro dettato da opportunità e ragionevolezza, probabilmente, di fronte ad un mercato editoriale che ancora non sembra essere pronto ad affidare totalmente ad Apple i propri destini. La riduzione dei limiti regolamentativi potrebbe ora portare un maggior numero di editori a scelte più libere circa il proprio modello di business, evitando così di dover per forza scegliere tra iOS e Web App.
E se Steve Jobs ha scelto per un repentino ammorbidimento delle regole imposte soltanto pochi mesi or sono è perché, evidentemente, è ormai noto il fatto che in futuro il vantaggio competitivo dell’esclusiva su App Store non avrà più il valore che aveva in passato. L’avanzata di Android, oltre ad aver messo all’angolo Nokia nel mondo degli smartphone, potrebbe insomma avere le prime risultanze anche nel mondo dei tablet: l’alternativa crea concorrenza e la concorrenza alimenta la libertà.