Negli anni Novanta, agli albori dell’Internet di massa, andava di moda la battuta sul cane: chiunque può spacciarsi per chiunque grazie all’anonimato. Ma oggi è ancora così? Forse l’anonimato è la vera vittima sacrificale del Web 2.0.
Gli ultimi due episodi sono davvero emblematici: il bacio di Vancouver e il caso Amina. Nel primo caso, una coppia è stata immortalata accidentalmente da un fotografo free lance durante degli scontri fra polizia e ultrà della squadra locale di hockey. Un fermo immagine che ha catturato l’attenzione di milioni di internauti, che hanno scatenato una vera caccia per individuare i due protagonisti.
Risultato? In due soli giorni sono stati individuati e sono finiti al Today Show. La kissing couple è passata in pochissimo tempo da trend topic su Twitter a coppia in carne e ossa sui network. E qualcuno già parla di social-orientamento delle notizie. Ma anche di una nuova, inquietante forma di mobbing.
Il fake della blogger Amina è ancora più eclatante. Per alcuni giorni i media di tutto il mondo si sono occupati di questa blogger siriana omosessuale, rapita dalla polizia, basandosi sulle notizie pubblicate da un blogger, Tom MacMaster, americano 40enne che si occupa da tempo di questioni mediorientali. Qualche tempo dopo, lo stesso MacMaster ha confessato sul suo blog di essersi inventato tutto: Amina era lui.
Fine della storia? Soltanto una burla? Non proprio: se un gruppo sempre più grande di blogger e semplici curiosi (insospettiti da alcune contraddizioni dei testi) non avesse cominciato a indagare e raccogliere notizie, la burla sarebbe continuata. Invece, messo alle strette dopo un’operazione di riscontro delle fonti che nessuna redazione sarebbe stata in grado di mettere in campo, il blogger ha dovuto ammettere di avere creato una identità falsa.
Ecco la differenza rispetto al passato: l’intelligenza collettiva del Web 2.0 sembra essersi concentrata, tra le tante cose che sa fare, anche nella volontà di sbugiardare i falsi e di riscontrare le fonti. Non solo crowd guerriglia, come anche in Italia alle ultime elezioni, ma anche una fortissima abilità a buttare giù le maschere.
Gli esperti cominciano a parlare di “erosione dell’anonimato”, un prodotto della pervasiva presenza dei social network, che hanno stimolato la vendita di device come smartphone e tablet, che a loro volta hanno contribuito a modificare nella testa di moltissime persone l’idea di ciò che dovrebbe essere pubblico e ciò che dovrebbe essere privato.
Naturalmente è Facebook, che pretende, di fatto, identità reali, ad aver accelerato in pochi anni questo cambiamento. Susan Crawford, docente ed esperta di leggi sulla privacy, ha così commentato questi ultimi episodi:
“Le persone non desiderano altro che essere connesse, le aziende, dal canto loro, vogliono sapere chi sta dicendo cosa e dove e cosa gli piace. Come risultato, non siamo mai stati tanto conosciuti come oggi. L’anonimato è praticamente morto.”