Nextag, Yelp ed Expedia: sono questi i principali accusatori schieratisi contro Google presso l’antitrust statunitense. Le audizioni hanno preso il via in queste ore ed hanno consentito di mettere in tavola le carte dell’accusa, delineando così il perimetro entro cui Google dovrà difendersi.
Nextag ha puntato il dito contro l‘impossibilità di acquisire pubblicità su Adwords così come desiderato. Google, infatti, avrebbe vietato al gruppo le puntate su taluni spazi di particolare prestigio, il che si presta ad una duplice interpretazione: quella di Nextag, che accusa Google di voler limitare gli spazi a siti visti come pericolosi concorrenti potenziali, e quella di Google, che difende il proprio diritto a limitare le pubblicità per meglio rispondere alle esigenze degli utenti. Quest’ultimo teorema si basa sul fatto che il click è solitamente finalizzato al raggiungimento di un sito nel quale si effettuano acquisti, mentre Nextag si configura come un intermediario che a sua volta reindirizza verso siti nei quali è possibile conseguire l’acquisto. Con il proprio agire Google avrebbe complicato il business Nextag e l’accusa vede in ciò un comportamento anti-concorrenziale da limitare e sanzionare.
Yelp da parte sua porta avanti una doppia accusa. La prima è quella di aver sfavorito il servizio rivale mettendo in primo piano omologhe offerte interne: utilizzando i contenuti di Google Places, insomma, Yelp sarebbe stato spinto fuori dal mercato in virtù della preminenza di Places tra i risultati di Google (e così facendo il monopolio nella ricerca sarebbe stato illecitamente utilizzato per riscuotere indebito successo anche in un mercato parallelo, configurando così il reato che l’antitrust potrebbe andare a colpire). La seconda accusa è quella di aver utilizzato estratti dei contenuti di Yelp all’interno di Google Places, sfruttando così materiale altrui a tutto vantaggio del traino iniziale del servizio proprietario. Google ha dismesso tale pratica soltanto negli ultimi mesi, ma la cosa non sfugge comunque all’arringa dell’accusa.
Expedia formula una accusa del tutto simile a quella di Yelp: Google, inserendo poco alla volta i propri servizi verticali all’interno del motore di ricerca, ha offerto maggior prestigio alle proprie pagine togliendolo ai siti terzi indicizzati. Expedia avrebbe pertanto subito l’offensiva Google perdendo traffico e mercato al pari di Yelp, entrambi spinti fuori sulla base di quelle che Google ha definito come scelte strategiche. Google, infatti, spiega di voler offrire all’utenza risultati diretti: il motore non serve i siti, ma gli utenti, ed in questo approccio si trova costretto a favorire l’immediatezza del risultato.
La difesa di Google, firmata Eric Schmidt, prosegue sul medesimo canovaccio già seguito in passato: il gruppo spiega di aver agito sempre correttamente e di non temere il giudizio della legge perché quest’ultimo non può che seguire quello che è l’interesse degli utenti. Siccome Google è un servizio aperto e gratuito che chiunque può scegliere di rifiutare, l’azienda ritiene il mercato troppo fragile per poter considerare anti-concorrenziale una qualsiasi pratica finalizzata al miglioramento della qualità dell’indice. Google, insomma, ritiene di dover agire semplicemente nell’interesse dell’utente per offrire la massima qualità possibile nei risultati, così da garantirsi la fidelizzazione di chi compone le query e sfoglia le SERP.
La palla passa all’antitrust: le carte sono in tavola e la matassa non sarà facile da sbrogliare.