La questione Megaupload tira in ballo questioni legali non così semplici da interpretare come potrebbe sembrare un’analisi superficiale del caso. Ma trattandosi del più grande sito “pirata” al mondo, la situazione merita un approfondimento. Poiché milioni di utenti sono coinvolti dal sequestro, ed alcuni di loro sono anche schedati nei database in mano all’FBI; poiché il distinguo tra lecito e illecito non è sempre chiaro e definito; poiché da capire v’è la natura dei capi di imputazione portata avanti.
Per districare al meglio la matassa Megaupload ci siamo pertanto avvalsi della collaborazione dell’avv. Francesco Paolo Micozzi. Avvocato del Foro di Cagliari, si occupa di diritto penale con particolare predilezione per diritto dell’informatica e le nuove tecnologie, privacy e diritto d’autore: il suo impegno passato nella difesa dei responsabili di The Pirate Bay consente di guardare oggi con un punto di vista privilegiato ai fatti che coinvolgono Megaupload.
Perché è dai fatti e dalla loro interpretazione che occorre partire.
Lecito e illecito
Webnews:
“Se comprovato nel processo, c’è abbastanza nelle accuse per provare la ripetuta violazione di copyright. Ma la maggior parte degli indizi è relativa a strategie che molti siti usano per incrementare il proprio traffico e le proprie entrate: offrire sottoscrizioni premium, utilizzare advertising, offrire riconoscimenti agli utenti attivi”. Così James Grimmelmann della New York Law School su Ars Technica. Insomma, dove può essere identificata la discriminante tra lecito ed illecito?
Avv. F.P. Micozzi:
Nell’atto di 72 pagine relativo all’affaire Megaupload vengono indicati, acarico dei soggetti implicati nella gestione del famosissimo cyberlocker (e dei siti correlati come megaporn, megaclick e megavideo), i reati di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro e alla violazione delle norme in materia di diritto d’autore (i riferimenti normativi sono al titolo 18 del United States Code che si occupa proprio di diritto e procedura penale). I reati contestati comportano pene molto elevate ed è difficile prevedere quale sarà l’esito del procedimento penale. Tuttavia in linea di massima ciò che, in casi analoghi, crea il discrimine tra un’attività lecita ed una illecita è la consapevolezza (o meno) da parte dei gestori di Megaupload che attraverso i propri server venisse distribuito un singolo file protetto dal diritto d’autore.
Considerata l’enorme mole di dati che su Megaupload venivano memorizzati dagli utenti era pressoché impossibile controllare preventivamente che l’utente fosse legittimato a farlo. E per questo motivo era previsto un “Abuse Tool” attraverso il quale i titolari dei diritti potevano segnalare ai gestori di Megaupload i link di opere diffuse abusivamente, consentendo, così, a Megaupload di rimuovere il file incriminato e memorizzato sui propri server in violazione delle condizioni generali di contratto.
È chiaro che Megaupload, nella sua qualità di cyberlocker, offrisse un servizio di “online storage”, ed è altrettanto chiaro che non si può affermare che un servizio di online storage sia di per sé illecito, in quanto, ad esempio, l’utente può memorizzarvi dei file senza violare alcuna norma in materia di protezione del copyright (pensiamo, ad esempio, al caso di utilizzo del servizio megaupload per diffondere una distribuzione GNU/Linux o un firmware Android).
Tuttavia, nel caso Megaupload, sono state intercettate le email dei soggetti ritenuti responsabili dalle quali si evince la volontà di incoraggiare l’upload di materiale protetto (ad esempio con il programma “Uploader Rewards”) e la consapevolezza che singoli file fossero stati inseriti in violazione del copyright.
SOPA e PIPA: servono davvero?
Webnews:
Il sito è stato sequestrato anche senza SOPA e PIPA: leggi che offrono all’industria del copyright maggiori poteri sono pertanto inutili? Le normative attuali consentono già di agire, anche a livello internazionale, nel caso in cui sia stato dimostrato un reato?
Avv. F.P. Micozzi:
Esistono già le norme di diritto internazionale che disciplinano i rapporti giurisdizionali tra Paesi diversi. Solitamente queste norme sono contenute in Convenzioni internazionali in cui i Paesi aderenti si impegnano ad offrirsi vicendevole collaborazione nell’ambito della repressione dei crimini. A queste norme di diritto internazionale si affiancano, poi, le norme “interne” degli Ordinamenti coinvolti che possono anche prevedere dei limiti alla collaborazione giurisdizionale, ossia alla collaborazione tra autorità giudiziarie di Paesi diversi. Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, sono previsti alcuni limiti alla possibilità di rispondere positivamente alla richiesta di estradizione di un soggetto che si trovi sul territorio nazionale nel caso in cui sia richiesta per motivi politici, se una volta estradata sarà sottoposta a comportamenti inumani o persecutori o discriminatori o, se la legge del Paese richiedente prevede, per il reato per il quale è richiesta l’estradizione, la pena di morte.
Gli strumenti di repressione delle violazioni in materia di copyright esistono già da decenni e si sono evoluti con l’avvento dell’era di internet. L’approvazione dei disegni di legge SOPA e PIPA non farebbero altro che creare ulteriori strumenti di repressione a favore dei titolari dei diritti con il serio rischio di creare un pericoloso sbilanciamento degli interessi.
Tra cracking e hacktivism
Webnews:
Nella notte gli Anonymous hanno portato avanti la loro vendetta con DDoS contro DOJ, FBI, RIAA, MPAA e molti altri. Anche in questo caso il confine tra cracking e hacktivism sembra vacillare: è ancora possibile dividere in modo certo le due cose?
Avv. F.P. Micozzi:
Potremmo dire che l’hacktivism è l’ispirazione che guida azioni che possono essere sia lecite che illecite.
Tali fenomeni dimostrano maggiormente lo scollamento tra riforme normative sempre più severe a tutela di interessi economici dei titolari (o meglio degli intermediari per la gestione dei diritti d’autore) determinato dalle riforme normative e il comune sentire. La difficoltà di accettare la situazione attuale è ancor più evidente tra coloro che vengono ormai chiamati “nativi digitali” o, anche, “nativi telematici”. La soluzione al problema non verrà da un inasprimento sempre maggiore delle sanzioni penali, ma da un’analisi e da un’esplorazione di nuovi sistemi di marketing e gestione dei diritti d’autore.
L’utenza italiana di Megaupload corre rischi?
Webnews:
Alcuni utenti hanno dato a Megaupload i propri dati, sottoscrivendo account premium. Nei database del sito ci sono log, indirizzi IP e molto altro. È credibile o praticabile una persecuzione dei singoli? Un eventuale utente premium di Megaupload cosa può temere?
Avv. F.P. Micozzi:
In queste ipotesi è possibile che l’Autorità giudiziaria statunitense trasmetta l’elenco degli utenti italiani di Megaupload che abbiano diffuso materiale protetto da copyright all’Autorità giudiziaria italiana la quale ultima potrebbe decidere di agire direttamente nei confronti dei soggetti che si trovino sul territorio italiano. Probabilmente verrebbe contestato il reato di cui all’art. 171, lett. a-bis) L. 633/41 (legge in materia di protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) se non vi è stato uno scopo di lucro, mentre se l’utente ha diffuso il materiale protetto a fini di lucro (ad esempio sfruttando l’“Uploader Rewards” di Megaupload) potrebbe configurarsi la più grave figura delittuosa prevista dall’art. 171-ter della stessa legge.
Al contrario potrebbe verificarsi anche l’ipotesi dell’utente, uploader, del servizio di hosting che, invece, si sia visto sequestrare, insieme ai server Megaupload, anche dei file diffusi in modo assolutamente lecito.