Tanto rispetto, ma niente amore. Si potrebbe sintetizzare così il rapporto fra i giornalisti italiani e i social media, stando all’indagine di Lewis PR che l’ha chiesto ai diretti interessati con metodo empirico: domande dirette ai 200 giornalisti accreditati presso l’agenzia globale per comprendere se il Web 2.0 è per loro fonte di ispirazione o soltanto un contorno.
Come capita spesso in questo genere di sondaggi, i risultati sono piuttosto frastagliati, anche perché il rapporto fra Rete e informazione è in continua evoluzione e ciascuno conserva il suo parere. Esaminando i vari aspetti del binomio giornalismo-social media, dalla nascita di una notizia alla sua diffusione, sono emerse buone pratiche del giornalismo online ma anche la storica diffidenza del mestiere rispetto alla virtualità.
Se infatti la presenza dei professionisti – che siano free lance o legati alle testate (è noto come il rapporto personale tra giornalista e lettore sia fondamentale) – è ormai un dato acquisito, con l’83% su Facebook, il 70% su LinkedIn e il 69% su Twitter, il discorso cambia quando si parla di affidabilità: soltanto un giornalista su venti ha piena fiducia in questi mezzi e mettendo assieme chi li ritiene sufficientemente attendibili, stante il riscontro per evitare le tante bufale, e chi non si fida comunque si arriva al 70%.
In discussione, per il giornalista italiano, non è quindi l’utilità dei social e neppure la loro capacità di diffondere ad un pubblico più ampio una data notizia, bensì il reale valore redazionale di questi strumenti. Insomma, non sarebbe un “ferro del mestiere”. Almeno la metà dei giornalisti (il 25% si serve dei vari post per confrontare i diversi punti di vista, mentre il 26% non li tiene nemmeno in considerazione) ritiene non siano una fonte, ma un megafono.
Un punto di vista non privo di fondamento, perché spesso i social si limitano a riprodurre e commentare le notizie prodotte dalle redazioni, mentre i casi di notizie di prima mano e di produzione di informazione diretta sono più rari, anche se aumentano a vista d’occhio. Nessuno si sogna però di negare l’importanza dei social media per la creazione di una nuova forma di comunità dell’informazione, composta da giornalisti, lettori, e di forme di giornalismo partecipativo che sono la cifra distintiva di questi tempi. Così, il 57% degli operatori del settore condivide sul web le informazioni che ritiene più interessanti e il 26% lo fa cercando di generare una vera e propria discussione sull’argomento, stimolando lo scambio di opinioni e commentando i post degli altri.
Da questo ultimo spunto si deduce l’importanza di un nuovo metodo di organizzazione del lavoro che metta al centro la notizia diffusa sul Web: soggetta al contributo arricchente dei lettori con gli strumenti di collegamento, condivisione, aggregazione. Arricchimento che è anche della professione stessa di giornalista.
Comprendere come e quanto il “mestiere” imparerà ad accettare questo contributo, e i nativi digitali impareranno a loro volta a riconoscere nuovamente, come le generazioni precedenti con la carta stampata, il fondamentale ruolo di mediazione culturale di chi fa giornalismo, darà la misura del successo o se non altro della sopravvivenza dei giornali nel mondo di Internet. Mondo che, per quanto diverso, è auspicabile sia di vitalità democratica come solo la presenza dei giornalisti può garantire.