Portare Facebook in Borsa significa anzitutto trasformare definitivamente in moneta quel che fino a ieri era mero potenziale. Portare Facebook a Wall Street significa monetizzare la crescita accumulata in questi anni, consentendo a chi ha creduto nel progetto di vedere nero su bianco il proprio guadagno. Portare Facebook al Nasdaq (o al NYSE) significa trasformare definitivamente la proprietà in un investimento dorato del quale saranno in molti a poter godere.
I documenti per la SEC sono stati depositati e la lettera di presentazione di Mark Zuckerberg è già un pezzo di storia. Non serve altro: a partire dal mese di maggio le azioni “FB” saranno a disposizione e qualcuno potrà festeggiare la bontà delle proprie idee o dei propri investimenti.
Mark Zuckerberg, ovviamente, è colui il quale trae il maggior giovamento dall’operazione. La sua proprietà è quantificata nel 36.1% di azioni classe A e nel 57% delle azioni classe B. Nelle fasi della quotazione avrà la possibilità di vendere parte delle proprie azioni, ma non è chiaro a quanto ammonti tale cifra. Ad oggi il suo stipendio è pari a 500 mila dollari annui, ma a partire dal prossimo anno sarà ridotto a 1 dollaro annuo (la medesima cifra simbolica che anche Steve Jobs percepiva in Apple). Tra le sue possibilità vi sono inoltre finestre per l’acquisto di ulteriori azioni a prezzo prefissato: tale opzione scade nel novembre del 2015.
Oltre alle quote già in possesso, Mark Zuckerberg ha anche la delega al voto da parte di molti azionisti (tra i quali Dustin Moskovitz e Sean Parker), il che significa poter gestire con somma sicurezza la guida dell’azienda. Ma non solo: i regolamenti interni del gruppo prevedono altresì che la vendita di pacchetti azionari classe B comporti l’automatica conversione in classe A (la parte accessibile all’azionariato pubblico), il che evita di togliere potere a Zuckerberg qualunque possa essere l’evoluzione societaria futura.
Nel documento non compare invece Edward Zuckerberg, padre di Mark, il quale non avrebbe esercitato il proprio diritto all’acquisto di azioni dopo aver aiutato il figlio a fondare l’azienda nei primi mesi di attività.
Peter Thiel, già fondatore di PayPal, ha in mano il 2,5% della proprietà: qualcosa che, sulla base di una valutazione complessiva da 100 milioni di dollari, significa una quota da 2,5 miliardi di dollari: un investimento del tutto azzeccato se si considera che l’investimento di partenza, nel lontano 2004, fu pari a 500 mila dollari di grande coraggio e fiducia. Per Mark Zuckerberg, seguendo medesimo calcolo, il totale arriva invece a circa 28 miliardi di dollari.
Jim Breyer possiede 11,7 milioni di azioni, mentre la sua Accel Partners ne possiede 190 milioni. Digital Sky Technology, il fronte russo dell’azionariato, ha in mano 36.7 milioni di azioni classe A ed il 5.4% delle azioni classe B. Goldman Sachs per contro possiede 66 milioni di azioni classe A. Importante anche il ritorno per la Elevation Partner (la cui proprietà vede la presenza di Bono Vox degli U2), in possesso dell’1% del gruppo a seguito di un investimento da 90 milioni datato 2009.
Dustin Moskovitz, tra i co-fondatori, possiede il 7,6% della compagnia. Nel documento non figura invece Microsoft, che inizialmente aveva investito nel gruppo soprattutto per avere un importante filo diretto per partnership speciali: la prima quota dell’1,6% (al prezzo di 240 milioni di dollari) è stata evidentemente ridotta nel tempo.
[polldaddy poll=5891466]