Nelle prossime ore la Suprema Corte degli Stati Uniti deciderà se prendere in considerazione due annosi casi di violazione dei diritti umani imputati a delle corporation: in caso positivo, in futuro anche le industrie tecnologiche ne sarebbero coinvolte, potendo essere chiamate in causa per più recenti e constrastati rapporti tra regimi liberticidi e le case produttrici di software.
È la Electronic Frontier Foundation a sottolineare questo parallelo: i casi Kiobel/Royal Dutch Petroleum e Mohamad/Rojaub, al centro della battaglia per la corporate accountability (la responsabilità sociale dell’impresa) sono simili per molti aspetti a due citazioni che già oggi insistono nella giurisprudenza americana, quella in cui la Cisco è coinvolta per aver venduto al governo cinese strumenti di sorveglianza (su misura) che Pechino adotta per perseguitare gli attivisti democratici e le minoranze religiose. Una questione etica: il mercato lo permette, ma se la suprema corte decidesse (lo sapremo a giugno) che questo contributo è equiparabile a una violazione dei diritti?
A questo punto anche le industrie tecnologiche si troverebbero di fronte alla possibilità di essere prima invitate dalla politica americana a non collaborare con questi regimi, e poi eventualmente a rispondere in tribunali nazionali ed internazionali di casi gravissimi come carcerazioni illegali, tortura, sparizione di persone e omicidi. La EFF sostiene apertamente che in Bahrein, in Siria – dove peraltro è citata anche una compagnia italiana, la Area Spa – il paese dove la giornalista americana Marie Colvin è stata uccisa sembra grazie alla tecnologia fornita dall’occidente, operano aziende che forniscono supporti tecnologici per l’intercettazione di mail e la tracciabilità in Rete di persone “sgradite”.
Questa fetta di mercato, legato ai software di sorveglianza, ha raggiunto la quota spaventosa di cinque miliardi di dollari. Bloomberg e il Wall Street Journal hanno scritto reportage molto approfonditi sulle attività di decine di aziende, più o meno grandi, più o meno consapevoli di quello che stanno facendo, che vendono e supervisionano i loro prodotti in zone calde del pianeta, con casi di tragica contraddizione come la crudele esecuzione della giornalista catturata a Homs oppure il centro di sorveglianza dei colonnelli libici scovato dai militari a Tripoli, pieno zeppo di marchingegni made in USA.
L’ipotesi in auge in alcuni movimenti per i diritti è che anche negli Stati Uniti le corporation debbano essere considerate come individui – questione sollevata anche dal documentarista Michael Moore nel suo ultimo film sullo scandalo economico del 2008 – così che possano essere incriminate. Perché anche la tecnologia è un’arma a doppio taglio e la sua pericolosità dipende dall’uso che se ne fa, quindi anche da chi la impugna. Vendere a regimi che usano la tua tecnologia per uccidere persone ti rende un collaborazionista, oppure no? Alla Corte la sentenza.