Giunge dalla Germania una sentenza che cambia in modo sostanziale il modo in cui il mondo del share-hosting viene interpretato agli occhi della legge. Alla luce di tale sentenza, infatti, l’orizzonte viene completamente ribaltato: non sono i detentori del copyright a dover vegliare sui file depositati in remoto dagli utenti, ma devono essere piuttosto i provider del servizio a dover controllare proattivamente quel che gli utenti caricano sui loro server.
La decisione è stata resa nota dall’Alta Corte regionale di Amburgo in un caso che vede su fronti opposti la GEMA e RapidShare: la prima è l’omologa tedesca dell’italiana SIAE, il secondo è il noto servizio di hosting remoto che consente un facile scambio dei file su di un modello simile (ma basato su di un modello di business completamente differente) al defunto Megaupload. Il caso era esploso inizialmente nel 2009, quando la GEMA contestò l’irregolare presenza di 5000 brani sui server RapidShare, avendo in seguito la meglio per ben due volte in tribunale. Oggetto del contendere nel caso specifico, invece, i testi di pubblicazioni De Gruyter e Campus, ma la questione di principio è ben più importante rispetto alla natura della singola causa: in ballo v’è un preciso modo di intendere le responsabilità sulla pirateria, elemento che potrebbe rivelarsi rivoluzionario se la sentenza fosse confermata anche in futuro.
RapidShare, infatti, ha già preannunciato immediato ricorso. Il gruppo sta tentando da tempo di mantenere la propria linea operativa pur cercando di rendere quanto più trasparente e regolare possibile il proprio approccio al mercato. Da alcune settimane, ad esempio, il gruppo ha abbassato la velocità di download per i file provenienti da utenti anonimi e la cui condivisione risulta aperta, incoraggiando così l’iscrizione al servizio e la diminuzione progressiva delle opportunità per i pirati. Tuttavia il gruppo non intende sobbarcarsi di un impossibile controllo preventivo (che la stessa YouTube ha sempre negato, pur portando avanti il programma alternativo Content ID) con tanto di indisponibilità dei file fintanto che il gruppo non ne abbia acconsentito il download.
RapidShare (160 milioni di file archiviati, con 42 milioni di visitatori e 500 nuovi upload ogni singolo giorno) nella fattispecie fa appello alla sentenza SABAM vs Netlog con la quale la Corte di Giustizia europea ha negato ai provider quelle responsabilità che la Corte tedesca vorrebbe invece riconosciute: i casi sono differenti e le due situazioni andranno bilanciate, tuttavia è evidente il fatto che il servizio si trova di fronte ad una decisione in grado di pregiudicarne appieno le attività, l’organizzazione ed in prospettiva la stessa sussistenza economica.