Una pratica si sta espandendo a macchia d’olio fra i datori di lavoro: quella di verificare i profili Facebook dei loro dipendenti. E i più sedicenti capi ufficio non si accontentano di curiosare fra le informazioni rese pubbliche nel profilo, ma pretendono che i loro sottoposti forniscano le password affinché i superiori abbiano accesso libero a qualsiasi informazione. Del resto sono in molti pronti a cedere alla proposta indecente di un responsabile del personale che intende indagare più a fondo prima di procedere con una eventuale assunzione.
A cercare di frenare questa consuetudine scorretta è direttamente il social network il quale, tramite un apposito comunicato, ha invitato gli utenti a non fornire mai a terzi la propria password.
L’abitudine di richiedere gli accessi ai dipendenti non solo è scorretta da un punto di vista etico, ma è anche illegale perché viola le regole basilari della privacy. Così il social network di Mark Zuckerberg, per mano di Erin Egan, ha iniziato una incisiva campagna di dissuasione: la pratica «mina le aspettative di privacy e di sicurezza sia dell’utente che degli amici dell’utente, configurandosi come un atto illegale», quando non proprio un vero «crimine federale».
La citazione alla legge federale è tutt’altro che casuale, considerando come proprio il senato degli Stati Uniti stia studiando un decreto specifico per impedire ai datori di lavoro di avere accesso, sia con metodi dittatoriali che con sotterfugi, alle password e quindi alle informazioni private dei lavoratori. A farsi portavoce contro le aziende è il senatore Richard Blumenthal, il quale ha definito la consuetudine come «un’irragionevole invasione della privacy».
Ma per quale motivo i datori di lavoro sono così interessati agli account Facebook dei dipendenti, tanto che la richiesta forzata della password è diventata una vera e propria mania fra gli imprenditori a stelle e strisce? La risposta è molto semplice: si vuole controllare che il lavoratore non si lamenti della società, che non metta in atto comportamenti privati – come le abitudini sessuali – che potrebbero rovinare la fama di un marchio o, più facilmente, si è alla ricerca di pretesti per giungere a un motivato licenziamento. Inoltre avere la password significa poter approfondire la conoscenza di uno sconosciuto prima di integrarlo nella propria forza lavoro.
Inimicarsi Mark Zuckerberg, tuttavia, potrebbe essere un buon deterrente per aziende fin troppo spione. Così come ben sottolineato nel comunicato, infatti, Facebook è pronta ad espellere tutte quelle società che perpetreranno abusi sulle password, oltre che a dichiarare la volontà di iniziare delle vere e proprie guerre legali:
Agiremo per proteggere la privacy e la sicurezza dei nostri utenti, sia coinvolgendo le istituzioni che, quando appropriato, iniziando cause legali, inclusa la disattivazione di servizi e applicazioni che abusano dei loro privilegi.
Ce la farà Facebook ad arrivare laddove il buonsenso si è perso?