Il governo iraniano potrebbe stringere un nodo attorno al cappio col quale è già legato da tempo Internet. Un rapporto, pubblicato dai principali siti del mondo, fa infatti riferimento alle presunte intenzioni di sostituire in toto il web con una intranet nazionale, prospettiva che ha scatenato molte preoccupazioni attorno ad un paese da tempo al centro dell’attenzione internazionale. Ma ora è arrivata la smentita ufficiale del ministro, sebbene la tensione tangibile non cancelli del tutto i timori di una stretta ulteriore alla libertà di espressione nel paese mediorientale.
Tutto è cominciato nelle ore scorse quando la BBC ha pubblicato la notizia secondo cui l’Iran aveva deciso di bloccare il sito delle Olimpiadi londinesi: uno dei tanti piccoli blocchi che sono stati interpretati come il primo passo verso un blocco totale. In che modo? Con l’obbligo di registrazione a un protocollo di rete che registra ID e identità del suo possessore. Un punto che i commentatori hanno unito agli altri precedenti disegnando un quadro a tinte fosche per la libertà di informazione in quel paese.
In realtà, il paese che è stato inserito da Reporter senza frontiere tra i nemici di Internet aveva già trovato molti escamotage per impedire di fatto alla popolazione un libero accesso alla rete (considerata alla mercè della politica occidentale), ad esempio censurando o talvolta rallentando a dismisura i servizi di posta Gmail, Hotmail e Yahoo, causando l’esclusione da questi servizi a 33 milioni di persone. E il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha recentemente istituito un Consiglio Supremo del cyberspazio per regolamentare Internet secondo il Corano.
La rete nazionale iraniana sarebbe, almeno stando alle indiscrezioni trapelate, un passo deciso verso l’oscuramento. Se fosse vero. Il ministro delle Comunicazioni Reza Taghipour ha infatti smentito questa notizia, definendola semplicemente una «bufala». Ironia della sorte, smentita pubblicata dal sito ufficiale ict.gov.ir, che di per sé non è accessibile da fuori del Paese. Secondo il ministro, il fatto che questo colloquio a cui si fa riferimento e nel quale avrebbe fatto cenno al progetto di un Internet clean sia datato 1° aprile avrebbe dovuto far comprendere che si trattava di una boutàde ordita «dall’ala propagandista dell’Occidente che vuole fornire i propri mezzi di comunicazione ostili con un pretesto che emana da una pretesa senza fondamento».
Come stiano per davvero le cose è difficile dirlo. Il progetto di un Internet nazionale è tipico di governi di questo tipo, alle prese con forti spinte popolari e preoccupati dallo sguardo internazionale, ma è anche un progetto più volte minacciato e mai realmente realizzato da nessuno, perché terribilmente costoso, controproducente, utopico ed intrinsecamente fragile. Probabilmente non più risolutivo quanto il mettere sotto scacco la rete che già esiste.
Per ottenere una rete nazionale, infatti, si dovrebbero costruire un sistema standard dotato di motore di ricerca nazionalizzato (Ya Haq, il suo nome) e servizi di posta elettronica. Se il piano esistesse per davvero, i tempi della sua creazione, da agosto 2012 a marzo 2013, sarebbero persino ottimistici. Forse resta valida l’ipotesi già emersa un paio di mesi fa, rilanciata da Fast Company: la costruzione di una rete parallela al www, prima di ogni ulteriore passo.