Cosa può danneggiare un business online più della reputazione di un prodotto? È quello che si è domandata l’Università di Chicago che, con l’aiuto di Google, ha voluto analizzare l’impatto delle false recensioni sulla vendita di prodotti. Un vero e proprio spam evoluto, che potrebbe essere presto abbattuto da Big G.
Le motivazioni a una lotta alle cosiddette “fake review” deriva da molteplici motivi. Il primo è sicuramente di natura prettamente pubblicitaria, ovvero commentatori maliziosi spingono prodotti e servizi sul Web per battere la concorrenza. Il secondo ha ragione nell’indicizzazione: più una pagina è commentata e frequentata, più alto è il posizionamento nei motori di ricerca e maggiore l’attenzione sul business che si vuole sponsorizzare.
Bing Liu e Arjun Mukherjee, ricercatori dell’università, con l’aiuto di Natalie Glance di Google, hanno quindi elaborato un nuovo algoritmo per frenare questo fenomeno. GSRank, questo il nome del calcolo automatizzato, cerca di riprodurre al meglio l’intuito umano nello scovare una possibile frode, prendendo ispirazione da studi passati proprio sulle recensioni false e i comportamenti di un focus group, che ne hanno costituito le fondamenta.
Alla base dell’algoritmo, vi sono alcuni comportamenti chiave che i falsi recensori metterebbero in atto con una frequenza fin troppo sospetta:
- “Periodo Finestra“: i commenti falsi su un prodotto appaiono normalmente dopo pochissimi giorni dalla pubblicazione dello stesso, tramite gruppi organizzati di spammer. Un periodo troppo breve affinché l’utente comune possa aver già acquistato l’oggetto in questione e averlo debitamente testato;
- “Deviazione“: i commentatori falsi cercano di spingere il ranking verso una ben precisa direzione, quindi recensioni molto simili o punteggi unidirezionali (es: “5 stelline”) dovrebbero far sorgere il sospetto di una farsa;
- “Similitudine“: i falsi recensori, a quanto pare, tendono a essere pigri. Non è difficile, perciò, rinvenire molti giudizi simili – se non copia-incollati – fra di essi;
- “Sindrome del primo“: chi vuole spingere un servizio o un prodotto, cercherà a tutti i costi di aggiudicarsi il primo commento. Questo perché un giudizio positivo, o negativo qualora si tratti di screditare un concorrente, posto a inizio pagina tende a influenzare tutti i successivi;
- “Grandezza e modalità del gruppo“: più una community è grande, maggiore è la possibilità che ospiti degli spammer. Non solo: anche i singoli elementi del gruppo contano nell’algoritmo, perché è altamente improbabile che 10-15 persone possano essere interessate a così tanti prodotti diversi, indicandone quindi la loro natura truffaldina.
Oltre a questi comportamenti chiave, l’algoritmo tiene poi conto delle modalità d’azione, riuscendo a discernere tra un gruppo effettivo di più utenti organizzati e un singolo che, semplicemente, ha deciso di creare molteplici identità fittizie.
Riuscirà Google nello scopo di rendere le review di prodotti oneste e, quindi, di ripristinare una sana concorrenza online? E, ancora, verrà presto rilasciato un tool per correre in aiuto ai tanti portali d’opinione ormai sopraffatti dagli utenti maliziosi? Con ogni probabilità un servizio simile potrebbe essere applicato anzitutto ai servizi ed alle pagine proprie del gruppo, operando così una necessaria pulizia su Google Play per fare in modo che una sana meritocrazia porti in evidenza le migliori app.