Burt Herman è stato uno degli ospiti più noti e attesi del festival del giornalismo a Perugia. Il cofondatore di Storify ha partecipato al panel sul futuro dell’informazione, durante il quale l’ex giornalista di Associated Press ha raccontato l’evoluzione della sua creatura, nata come strumento professionale per le grandi testate diventata poi applicazione aperta a tutti.
Un successo, quello di Storify, che nasce, come capita spesso in questi ambiti, dalla semplicità della sua intuizione: trasferire sul web la pratica della lavagna delle vecchie redazioni. Il sito, infatti, permette con immediati drag and drop di costruire delle storie utilizzando tutte le fonti utili delle piattaforme social, come tweet, post, video su YouTube.
Un anno fa questo esperimento, apprezzatissimo dai grandi giornali americani, è stato aperto a tutti, e la sua dimensione pubblica ne ha accelerato il successo. D’altronde, l’obiettivo di Storify è sempre stato quello di mettere ordine nel caos e di renderlo fruibile, quindi l’opera dell’intelligenza collettiva non poteva essere limitata a pochi giornalisti. Creare una «storia sociale» è dunque alla portata di tutti, anche in Italia, dove già si contano migliai di iscritti e non mancano giornalisti e blogger che le utilizzano per ricostruire alcune vicende, in particolare quelle tipicamente trend topic, di cui si fatica a capire la fonte originaria e soprattutto a seguirne gli esiti. Un esempio su tutti: Storify è stato fondamentale per seguire la querelle delle rassegne stampa online.
La definizione più corretta di questo tipo di informazione è curation journalism, diverso sia dal giornalismo partecipativo – nel quale il cittadino utilizza propri strumenti per produrre una notizia, non solo per assemblarne le fonti – sia dalla normale attività degli aggregatori o dei motori di ricerca, i cui algoritmi non possono sostituire l’intelletto umano nel ricostruire a ritroso una storia selezionando le fonti secondo un proprio punto di vista e un’analisi complessa.
Dalla massa di informazioni, quindi, possiamo uscire appellandoci alla nostra stessa responsabilità di selezionatori, tanto che sta nascendo una nuova professione: il social curator, che si occupa proprio di selezionare il materiale web per una redazione giornalistica al fine di garantire qualità e reputazione al complemento social di una notizia fornita da una testata.
Questo il segreto di Storify, un sito dove operano soltanto sei persone, ma ha già prodotto 21 mila storie linkate su 5000 siti. Ed è solo l’inizio: con la traduzione dei tools anche in altre lingue, compreso l’italiano, e la sua integrazione sempre più forte coi social network, la sua espansione è garantita.