Si dichiarano come associazione per promuovere una rete aperta, libera e gratuita, ma nulla a che fare con la Dichiarazione sulla Libertà di Internet: la Internet Association è composta dai pezzi grossi della rete a stelle e strisce: eBay, Facebook, Amazon e Google vogliono esercitare una lobby coordinata a Washington. Il primo comunicato (leggi qui) a firma del presidente e CEO Michael Beckerman (ex consigliere per l’Energia alla presidenza della Camera) ribadisce lo scopo dell’associazione e si presenta subito con una immagine evocativa: la rete non è più solo nella Silicon Valley, ma sulla Main Street.
Lo scopo dell’associazione è dunque sufficientemente chiaro: sensibilizzare il Congresso sui più svariati temi di interesse delle grandi compagnie – spesso quotate in Borsa – legate alla Rete, dal fisco alla privacy fino alla regolamentazione dei copyright, che fino ad oggi ha partorito disegni scontratisi con l’opinione pubblica come la SOPA e altri tentativi.
Nessuno può prevedere l’esito delle innovazioni. Ma sappiamo che un modello decentrato e aperto di Internet è ciò che ha permesso la sua crescita senza precedenti. Dobbiamo stare in guardia contro i maldestri tentativi di ammanettare questa fonte incredibile di creazione di posti di lavoro, libertà e creatività.
Il comunicato ha una sua sfrontatezza, perché i politici americani hanno prodotto disegni restrittivi anche nell’interesse dei colossi della Rete, ma più spesso dei colossi editoriali (facendo scoppiare la nota questione della neutralità sulla quale l’Europa vorrebbe trovare una sua strada). Certamente l’ingresso di questo nuovo nome nel panorama del Web si farà notare, a partire da settembre quando aprirà ufficialmente i battenti.
Educare i legislatori negli Usa, com’è noto, non è illecito; anzi, è cosa ben considerata poiché ritenuta istituzionale e trasparente. La forte necessità di non essere confusi con disegni di legge definiti esplicitamente «maldestri» sta spingendo verso un’operazione inedita di trademark unico per i grandi nomi californiani che possa in qualche modo giustificare e magari diminuire gli investimenti impressionanti di queste aziende nel lobbying. In altri termini, la logica è: «Stiamo spendendo e non vediamo risultati: a questo punto entriamo in campo noi».
Soltanto Google ha speso il 90% in più rispetto all’anno scorso e nel primo trimestre ha investito quasi 4 milioni di dollari nelle politiche federali. Facebook ha incrementato la spesa per la lobbying federale del 200 per cento nel secondo trimestre, spendendo 960 mila dollari per la privacy online. Gli sforzi di eBay si concentrano su pirateria, contraffazione, inquinamento atmosferico e il rimpatrio delle entrate fiscali, mentre Amazon lavora su questioni come le imposte (vedi l’Iva sugli eBook) o la pubblicità.