Era il 2006 quando sulla moglie dell’allora primo ministro della Bassa Sassonia e futuro presidente della Germania Christian Wulff cominciarono a circolare delle voci: l’affascinante Bettina avrebbe avuto un passato nel quartiere a luci rosse di Hannover. Chiacchiere mai confermate, legate agli scontri di una campagna elettorale all’ultimo sangue. Nessuno avrebbe mai pensato che sei anni dopo tutto questo avrebbe portato a una causa contro Google.
La vicenda di Bettina Wulff è forse il primo caso di un certo rilievo in cui un individuo rivendica il diritto di ripulire un motore di ricerca dai risultati che lo riguardano. Non deve stupire che di mezzo ci siano due fra gli elementi più potenti di ogni tipo di nodo informativo: il sesso e la politica.
Digitando “Bettina Wulff” nel motore di ricerca in versione tedesca, si hanno 61.800 pagine di risultato per escort, 1,46 milioni per luci rosse e 157.000 per il suo “passato”. Ricordiamo, perfettamente legale in Germania, ma tremendamente imbarazzante, così Bettina Wulff ha reclamato, protestato, e infine, stando a quanto confermato dal suo avvocato Gernot Lehr, ha deciso di denunciare il motore di ricerca e i giornalisti e personaggi pubblici (come Guenter Jauch, il quale secondo i legali della Wulff avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella distruzione della reputazione della loro assistita) che si sono rifiutati in questi mesi di firmare una dichiarazione giurata dove la signora conferma di non avere questo passato e gli operatori dell’informazione si impegnano a cessare o desistere dal citare queste accuse.
Un “diritto all’oblio” sul quale non mancano le riflessioni ai più alti livelli, in Europa, ma che comporta complicanze e scenari non del tutto prevedibili, contro i quali si è scagliato di recente Vint Cerf: impegnato nell’azione opposta, cioè contrastare il bitrot. Il problema, infatti, risiede tutto nell’indicizzazione di questi contenuti. Veri o falsi che siano, non ha più importanza, ormai: il caso è diventato molto più delicato, tanto da aver scomodato la responsabile di Google per l’Europa del nord, Kay Oberbeck, che ha ribadito che i termini visualizzati su Bettina Wulff sono «algoritmicamente il risultato generato di fattori oggettivi, quali la popolarità dei termini di ricerca inseriti».
Un profilo biografico completamente intonacato, oppure suggerimenti algoritmici che danno consistenza ai rumors senza controllo. Reputazione o indicizzazione oggettiva. Come finirà? In Germania Google ha già dovuto affrontare cinque casi simili, vincendoli tutti. Una sentenza sulla validità della sua causa è prevista presso il Tribunale di Amburgo entro poche settimane.