Quasi il 30% della storia documentata della rivolta egiziana, partita ed esplosa sui social network, è già sparita. Con esso, tante persone, le loro storie, idee, i volti, le immagini, la loro voce. Uno studio pubblicato dalla rivista del MIT ha lanciato questa affascinante provocazione: pensiamo di non essere mai stati tanto sociali, tanto riprodotti in forme virtuali di relazione destinate a sopravviverci, invece è l’esatto contrario. Stiamo svanendo.
I ricercatori Hany SalahEldeen e Michael Nelson della Old Dominion University di Norfolk, in Virginia, hanno puntato la loro attenzione sui tweet di sei eventi culturalmente e storicamente significativi che si sono verificati tra il giugno 2009 e il marzo 2012, tra i quali la rivolta egiziana, ma anche la morte di Michael Jackson o il focolaio del virus H1N1. In seguito hanno filtrato le URL controllando quanti dei contenuti linkati fossero ancora disponibili sul web.
Il risultato è stato impressionante: l’11% del contenuto dei social media era scomparso nel giro di un anno e il 27% entro 2 anni. Lo studio ha calcolato, forse per la prima volta, il tasso di perdita di informazione (si potrebbe dire della memoria di questa virtuale rete neurale globale a cui affidiamo molto di noi): ogni giorno svanisce lo 0,02% del materiale culturalmente significativo.
Un po’ come Marty McFly, che in «Ritorno al futuro» svanisce poiché sta cambiando la storia, anche noi stiamo svanendo, silenziosamente: la storia 2.0 è soggetta a una lentissima ma progressiva amnesia digitale. Questo fenomeno per il quale, come direbbe il poeta Ungaretti, «come portati via / si rimane», è parente di quel bitrot contro il quale sta fieramente lottando Vint Cerf, avverso a ogni legge sul diritto all’oblìo che peggiorerebbe le cose.
La Rete mostra dunque ancora una volta la sua componente duale, già indagata dalla letteratura cyberpunk: la tensione fra le idee del sempre, dell’infinito e dell’inesauribile, e quelle dell’oblio, del limite e della fine. L’obsolescenza informatica riguarda anche la Rete, perciò anche la parte web sociale delle nostre identità e quella mediata delle informazioni.
Naturalmente questi dati stanno facendo riflettere le comunità in rete. Dato per scontato che i social media svolgono un ruolo importante nella diffusione di informazioni in tutto il mondo, e i social network compongono le nostre relazioni dentro questo stesso mondo, sapere che tutto è soggetto allo svanire forse darà più sostegno a progetti di conservazione delle pagine web, di biblioteche open, finora interpretate come stramberie.
Ci sono biblioteche nazionali – compresa quella italiana, a Firenze – che da tempo lanciano questo allarme. Negli Usa la leggendaria Library of Congress ha istituito una sezione dedicata ai tweet, anche se pare non funzionare ancora a regime. In Europa e nel resto del mondo questa preoccupazione è spesso inascoltata. Invece occorrerebbe fare con la documentazione web ciò che si è sempre fatto coi libri: ogni documento di una certa importanza andrebbe replicato in una copia da destinare alle future generazioni, prima che un banale gesto come la chiusura di un blog, il suo spostamento, il passaggio dal gratuito al pagamento contribuisca a renderci meno visibili e comprensibili a coloro che verranno dopo di noi.
Gestire l’informazione anche al di fuori dell’istantaneità è una sfida fondamentale che il Web deve affrontare se intende contribuire non solo a scrivere la storia, ma anche a conservarne la memoria.