Il lavoro della CNIL (Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés), la commissione francese delegata dall’Europa a curare i rapporti con Google circa la gestione della privacy, è al capolinea: martedì ci sarà una conferenza stampa nella quale, secondo le indiscrezioni, si denuncerà Big G per non aver informato adeguatamente i suoi utenti rispetto ai forti cambiamenti nella policy.
Le indiscrezioni sono apparse sul Guardian, la testata che già aveva anticipato il parere negativo della società “appaltatrice” per Bruxelles del caso Google. La CNIL annuncerà i risultati delle sue consultazioni insieme ai responsabili sulla protezione dei dati sensibili nominati dagli altri paesi dell’Unione.
Secondo la commissione, una delle più aggressive, in effetti, nel panorama degli osservatori politici sulle policy private, con la grossa concentrazione di documenti sulla privacy prodotta lo scorso marzo Google ha violato la legge comunitaria, motivo per il quale la CNIL chiederà niente di meno che il setup: riconfigurazione della policy secondo lo schema precedente. Quella forzatura sulla privacy, all’Europa, proprio non è mai andata giù: le risposte parziali sono solo una parte del problema, perché secondo alcuni commentatori britannici, l’aver scelto a suo tempo la CNIL diceva già delle intenzioni abbastanza cruente delle autorità comunitarie.
Gli inglesi sono convinti che con altre società non si sarebbe arrivati a uno scontro del genere. Ma da oltreoceano arrivano anche pareri come quelli di Bradley Shears, un famoso avvocato specializzato in privacy digitale – distintosi per le sue cause contro Facebook – che sostiene come questa posizione europea sia innovativa e sorregga il convincimento di chi pensa che Mountain View dovrà gioco forza ripristinare le barriere precedenti (quelle, per intenderci, rimosse per la combinazione e fusione degli account) e perciò ricalcolare al ribasso i profitti immaginati derivanti dallo sfruttamento più efficiente dei dati degli utenti.
Come finirà? Difficile prevederlo. Nell’immediato forse nulla, ma non è da escludere un effetto domino su altre grandi aree del mondo impegnate nella faticosa regolamentazione di queste materie. Google, da par suo, è sempre stata convinta che la costruzione di un maxi archivio dati raccolti da servizi come il motore, YouTube e le mappe non vìoli le norme comunitarie, anche se già all’epoca Viviane Reding aveva messo all’erta Mountain View.
La sensazione è che, per dirla all’americana, Google proverà a spiegare che «non si rimette il dentifricio dentro il tubetto», cioè che è impossibile tornare indietro dopo un’operazione che ha modificato profondamente l’entropia del mondo della grande G, ma lo diceva anche Microsoft quando sosteneva che non era possibile separare il sistema operativo dal browser. Poi è noto come finì.