La School of Management del Politecnico di Milano ha un osservatorio sull’agenda digitale che ha monitorato gli sviluppi sulla digitalizzazione proposta dall’attuale governo, letto con attenzione il decreto 2.0 emanato pochi giorni fa, ed ora ne puntualizza pregi e difetti. Che si potrebbero riassumere così: il Governo ha toccato quattro dei sei ambiti che, secondo l’osservatorio, sono necessari perché diventi un motore economico. Quindi promozione, ma senza voti di prestigio.
L’osservatorio ha prodotto un documento, presentato allo SMAU, dove individua i benefici che si potrebbero ottenere, nel medio periodo (3 anni), negli acquisti, nella lotta all’evasione, nei pagamenti elettronici, nell’innovazione digitale, nelle startup. Un complesso di innovazioni che potrebbero portare a un risparmio di ben 20 miliardi di euro, e anzi a maggiori introiti per la pubblica amministrazione di 5 miliardi.
Andrea Rangone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale, commenta così il “4 su 6” di Monti e Passera:
Peccato che si sia trascurato l’eProcurement, cioè l’insieme degli strumenti elettronici, come gare telematiche, negozi elettronici, ecc, che la PA usa per effettuare gli acquisti, e la fatturazione elettronica, cioè la fattura in formato digitale secondo le normative italiane ed europee, che pensiamo possano avere benefici rilevanti anche nel breve termine. Infatti, relativamente all’eProcurement, le esperienze pluriennali e positive di Consip e Centrali di acquisto regionali evidenziano notevoli benefici ottenibili non solo a livello di saving ma anche di trasparenza, controllo e governance della spesa pubblica. In relazione invece alla fatturazione elettronica, esiste dal 2008 una legge che impone l’uso della fatturazione elettronica nei rapporti tra fornitori e PA, ma manca ancora ad oggi il decreto attuativo. Si tratta di ambiti che possono davvero essere il motore della crescita, con evidenti benefici per tutti, dalle amministrazioni pubbliche alle imprese.
Meglio altre voci, come identità digitale, istruzione, sanità, giustizia. Per quanto riguarda i pagamenti elettronici – argomento poco conosciuto, in effetti dalle p.a. e anche da molti cittadini – l’osservatorio spiega che, ipotizzando che si utilizzino al 30% canali di pagamento elettronico per IMU/ICI, Tarsu, Multe, Bollo Auto, si stima un risparmio di circa 0,6 miliardi di euro l’anno (relativi sia alla riduzione dei costi vivi che all’aumento della produttività del personale), mentre nell’ipotesi di incrementare anche solo del 10% il tasso di utilizzo dei pagamenti elettronici nel mondo del retail consumer (dal 20% attuale al 30%), si potrebbe arrivare a una riduzione dell’evasione fiscale pari a 5 miliardi di euro all’anno. Mentre per le startup, l’inserimento di 300 milioni di euro per investimenti seed (pari esattamente alla dotazione inziale del fondo tedesco High-Tech Gruenderfonds), avrebbe un impatto sul PIL, entro un decennio, di circa 3 miliardi di euro.
Queste idee si inseriscono in un quadro più generale di dematerializzazione e innovazione digitale nel cosiddetto eGovernment, che da solo porterebbe a risparmiare alla collettività ben 15 miliardi di euro. Una piccola manovra correttiva nazionale. Ma è davvero possibile? Stiamo parlando dello stesso paese che ha 3,5 milioni di dipendenti pubblici e dove ci sono comuni che hanno più forestali che alberi e spalatori di neve in terre soggette alla siccità?
Dipende dalla penetrazione dell’elettronica, dell’open data, dell’innovazione digitale nelle piccole cose di tutti i giorni. Il pagamento elettronico, infatti, è il peggior nemico sia degli sprechi pubblici che del malaffare privato. Come ha detto la giornalista Milena Gabanelli in una puntata di Report, l’uso del contante «è indispensabile per tre categorie: il tangentista, lo spacciatore di droga, l’evasore fiscale». Se si riuscisse davvero a imporre l’uso del contante elettronico anche nella fascia consumer e non solo business (ad oggi, nel nostro Paese la quota di pagamenti elettronici sul totale di quelli gestiti è di poco superiore al 20%) si introdurrebbero fattori di controllo e trasparenza adeguati allo standard europeo.