È il giorno dell’arrivo in Commissione alla Camera del decreto 2.0, comprendente l’agenda digitale a rischio per i tempi ristretti causati dalla crisi del governo. Un conto alla rovescia per il mondo delle startup e dell’innovazione vissuto col fiato sospeso, testimoniato da un appello su Twitter nel quale si invitano le forze politiche di buona volontà a fare di tutto perché venga approvato prima del 18 dicembre, deadline per la sua conversione in legge. All’orizzonte, però, si profila anche un’altra ipotesi: lasciarla cadere e ripartire da un testo bipartisan.
Affidare l’Agenda digitale al prossimo governo. Questa è l’ipotesi alternativa al movimento di opinione di #firmateildecreto, che parte da un concetto: c’è già in Parlamento un Testo Unificato, firmato da Paolo Gentiloni (Pd) e Antonio Palmieri (Pdl) in luglio, che rappresenta il livello più compiuto di discussione parlamentare prima del decreto 2.0 del governo quest’autunno.
Nel tweet a cui l’ex presidente della Vigilanza Rai – oggi impegnato nelle primarie per la candidatura a sindaco di Roma – ha affidato la sua risposta all’articolo di Webnews, si faceva riferimento proprio alla delusione per l’incompletezza del decreto rispetto alla proposta di legge:
@vivianimarco i tempi ci sono salvo sorprese e purtroppo senza modifiche. Varato tardi e ignorando testo unitario approvato alla Camera.
— Paolo Gentiloni (@PaoloGentiloni) 10 dicembre 2012
Quel Testo Unificato aveva convogliato due proposte differenti dei due parlamentari, una concentrata sull’agenda digitale, l’altra sulle startup, delegando al governo alcuni criteri. E qui sta l’inghippo. Come capita sempre più spesso, gli esecutivi tendono a legiferare su delega forzando il Parlamento con voti di fiducia, e l’unica risposta possibile perché i partiti possano contribuire all’emanazione di un testo – in questo caso la legge di conversione di un decreto, entro 60 giorni dalla pubblicazione – sono gli emendamenti nelle commissioni. Ma la crisi di governo ha talmente ristretto i tempi che il nostro “bicameralismo perfetto” lavora contro l’approvazione del decreto.
Ora che il decreto è passato dal Senato, con alcuni miglioramenti ed estensioni, torna alla Camera che ha davanti a sé una scelta drammatica: valutare gli emendamenti, approvarli tutti e andare al voto, oppure rivedere il testo rispedendolo al Senato. Nella prima ipotesi l’Agenda digitale potrebbe farcela, nella seconda sarebbe inesorabilmente rimandata.
Da qui la delusione che si nota nelle parole di alcuni politici che avevano lavorato al miglioramento del decreto del governo, considerato quasi svuotato e poco coraggioso rispetto agli obiettivi prefissati. Alcuni esempi: nel testo approvato a luglio ci sono riferimenti importanti all’e-commerce, allo switch-off per le pubbliche amministrazioni, ai progetti di educazione digitale e persino a un nuovo contratto di servizio per la Rai per trasmissioni educative sull’agenda digitale, ci sono incentivi alle famiglie per acquistare computer e connessioni nuove e l’Iva al 4% sui prodotti digitali.
Alcuni punti del Testo Unificato sono spariti del decreto, in particolare quello sullo switch-off, l’articolo 28-bis sui servizi digitali al cittadino:
(1). Entro il 31 gennaio 2015 tutte le pubbliche amministrazioni rendono disponibile l’accesso personalizzato ai propri servizi in modalità digitale. Tale accesso, in tutti i casi in cui è tecnicamente possibile, deve essere integralmente sostitutivo dei servizi di sportello prestati. Un piano di switch off dei servizi per aree territoriali è predisposto per il 2013 dal Ministero della pubblica amministrazione e semplificazione d’intesa con il Ministero dello sviluppo economico.
(2). Entro il 31 gennaio 2014 tutte le pubbliche amministrazioni rendono disponibile al pubblico un numero di postazioni gratuite e assistite, in proporzione all’utenza potenziale dell’ente, di accesso alla rete Internet per la richiesta e la fornitura dei servizi digitali di cui al presente articolo. Le postazioni di cui al presente comma possono essere collocate anche presso luoghi aperti al pubblico, di grande frequentazione e passaggio, sia pubblici che privati, quali aree pedonali, parchi, centri commerciali, uffici postali, scuole.
Ma ci sono anche elementi positivi, come ha sottolineato ieri Vincenzo Vita, parlamentare del Pd, sempre discutendo nel flusso su #firmateildecreto e guardando al bicchiere mezzo pieno:
@paologentiloni @lucadebiase @antoniopalmieri cmq abbiamo ottenuto al Senato qualche risultato: carta dei diritti, n.del comitato tecnico…
— Vincenzo Vita (@Vincenzo_Vita) 10 dicembre 2012
La questione quindi, è semplice: accontentarsi dell’uovo oppure sperare un domani nella gallina. Entrambi i firmatari del testo, in realtà, vorrebbero vedere approvato il decreto, anche se incompleto, perché una volta diventato legge il prossimo governo potrà sempre intervenire. Mentre se si rimandasse, c’è il rischio che questo domani diventi, come capita spesso nella politica italiana, dopodomani o magari mai più. La risposta del governo a questo dubbio non potrebbe essere più chiara: ha posto il voto di fiducia alla Camera sul decreto Sviluppo. Questo significa che a Palazzo Chigi si vuole andare avanti per tappe forzate.