La rete delle tasse. Report non fa sconti a nessuno ed è tornata a muso duro sul Web, dopo la famosa e controversa puntata su Facebook, con una inchiesta su Amazon e l’elusione fiscale. Argomento che potrebbe valere per molte altre – se non tutte – grandi multinazionali tecnologiche. Il servizio pubblico ha così sdoganato un concetto noto nell’ambiente: il double Irish Dutch sandwich.
Dopo la punzecchiatura di Forbes nei confronti di Apple e il dito puntato di Bloomberg contro Google, finalmente anche la televisione italiana porta a conoscenza del grande pubblico la questione. Al centro dell’attenzione, il trucchetto delle due società in paesi europei dalla legislazione «amichevole» che permette di evitare di pagare le tasse sui redditi generati nei singoli confini nazionali, dove pure si vendono i prodotti.
Molti governi si sono decisi a sguinzagliare le loro polizie – nel caso di YouPorn, si è arrivati all’arresto – per cercare di capire se ci sono margini di manovra per far tornare almeno in parte questi enormi profitti trasferiti altrove a livello contabile.
Lo spunto dell’inchiesta di Report nasce dall’estero: una decisione sorta in Gran Bretagna, dove la Commissione sui conti pubblici del Parlamento ha convocato il capo delle relazioni esterne di Amazon UK, Andrew Cecil, nell’ambito di un’indagine parlamentare per presunta evasione fiscale.
Il servizio di Giovanna Boursier andato in onda ieri sera si è concentrato sul colosso del commercio online, con sede a Seattle e quartier genere, in Europa, in Lussemburgo. Un’inchiesta come sempre lucida e puntuale (anche se non è stato possibile sentire la versione di Amazon Italia, a Milano, che non ha aperto le sue porte) che ha spiegato il meccanismo che collega la Amazon Eu Sarl con due società italiane: la Logistica e la Corporate, 600 dipendenti in tutto. Loro lavorano, fatturano, ma i guadagni vanno alla casa madre, nella più tranquilla Lussemburgo.
La giornalista ha prima visitato il gigantesco magazzino di Castel San Giovanni, nel piacentino, intervistando l’ad. Stefano Perego, facendo emergere la scarsa trasparenza sui ricavi e la forte dipendenza dalle parole d’ordine della casa madre, tanto che la giornalista nello speaking in post produzione dice chiaramente:
A non dare i dati sono quelli di Amazon Italia: nel loro magazzino vendono di tutto, ma non danno i dati di quanto fatturano.
Per scoprire qualcosa di più, l’autrice ha anche sentito il vice presidente di Amazon Italia, Diego Piacentini, ricevendo la stessa risposta: motivi confidenziali (la società quotata in Borsa) portano a non fornire i dati paese per paese.
Altro argomento forte, gli ebook, mercato sul quale è intervenuto anche Marco Polillo, il presidente dell’Associazione Editori Italiana:
Amazon lo vediamo come un grande punto interrogativo. Sono dati fondamentali perché permettono di capire la crescita del paese, permettono di capire lo sviluppo della lettura. Noi abbiamo 4 o 5 ministeri che ruotano intorno ai problemi del libro: i beni culturali, l’istruzione, lo sviluppo economico, gli affari esteri per tutti i rapporti internazionali, finanze, cioè è un mercato che vale 1 miliardo e 300 milioni.
Sugli ebook è stato sollevato il problema dell’Iva al 4%, che distorce un mercato in espansione e mortifica le aziende che trattano questi prodotti e non possono equiparare l’aliquota sfruttando l’escamotage del “sandwich”.
La domanda sottesa alla trasmissione è facile da intendere: ma se utile e fatturato sono inseriti nel bilancio della società lussemburghese, visto che in Italia ci sono solo i servizi, a quale titolo Amazon può costituire logistiche e società così complesse che conservano, spostano prodotti? Dovrebbero esserci soltanto uffici. Così ha commentato Milena Gabanelli:
Insomma, sarebbe ora che l’Iva venisse armonizzata tra i vari paesi europei, e questa è una cosa. Ma quella che riguarda il paese dove devi pagare le tasse non può essere una questione di interpretazione dei governi. Ora, se io sono una multinazionale e ho in Italia dei rappresentanti che contrattano, negoziano con le case editrici, i produttori di giocattoli o di stufette, ma il magazzino con la merce e i dipendenti che spediscono ce l’ho da un’altra parte, è un conto. Ma se il magazzino l’ho qui, i dipendenti li ho qui, compro qui, vendo qui, produco reddito in Italia, le tasse le devo pagare in Italia o no? A chi di competenza accertare.
Per questo, lo spirito dell’inchiestra sembra stimolare il Parlamento italiano a imitare quello britannico: convocare queste società per un chiarimento. Se non altro per una questione di giustizia, di parità di trattamento: l’italiana Ibs – anch’essa interpellata nell’inchiesta di Report – paga sul suo fatturato il 30% di tasse, la Amazon il 4%.
Urgono norme comunitarie. Anche su Twitter molti hanno alimentato una discussione, sugli hashtag #Report #Amazon.