Si comincia con alcune note di investitori allegati a modelli di proiezione statistica, si continua con articoli su quotidiani prestigiosi e di rimbalzo sui blog aggressivi sulla finanza, si finisce con quotazioni del mercato parallelo altissime e il rischio di un flop clamoroso. La vicenda di Facebook, sull’indice NASDAQ dalla primavera 2012, non sembra aver insegnato molto all’ambiente, almeno stando alle tante voci che da qualche tempo interessano Twitter, l’altro grande social network americano e mondiale. In tanti scommettono sullo sbarco in Borsa dell’uccellino blu, ma la paura di un’altra delusione è palpabile.
Lo ha fatto notare, dall’alto del suo blasone, Forbes, che segnala come il valore di Twitter è schizzato da 8 miliardi di dollari (agosto 2011) agli 11 miliardi di oggi. Crescita che avrebbe anche senso, considerando i molti passi avanti del sito dal punto di vista strutturale: la partnership con Pinterest sta dando ottimi frutti e ha permesso di focalizzare meglio gli utenti. Ma come al solito tutto è spiegato dalla facilità con la quale queste quotazioni salgono negli scambi senza liquidità “vera” del mercato secondario.
Insomma, l’IPO di Twitter è la nuova ossessione del 2013 dopo quella di Facebook l’anno scorso, con tanto di spiegazione psicologica annessa da parte di Max Wolff, a capo della Greencrest, la società che ha dato una prima valutazione del microblogging e pensa che il 2014 sarebbe l’anno giusto per lo sbarco:
Dopo il flop di Facebook, c’era bisogno di un nuovo eroe della tecnologia. Twitter sta mostrando una crescita migliore, ha appena assunto un nuovo direttore finanziario (Mike Gupta, ex Zynga), un direttore generale. Io credo che nessuno stia vendendo azioni sulla base di un valore inferiore ai 9,5 miliardi dollari, in questo momento.
Ma la silicon valley in trasferta a New York può andare avanti a colpi di rialzi psicologici e attese messianiche? Ovviamente no. Nei suoi sei anni di vita, Twitter non ha ancora trovato un flusso di entrate finanziarie all’altezza della sua crescita, com’è tipico di queste realtà. I tweet sponsorizzati, e altre forme di pubblicità, sono strumenti buoni ma che hanno già mostrato le loro lacune e ormai gli investitori più seri hanno capito che i social network posseggono, di prezioso, soltanto i dati personali dei loro utenti che però sono tenuti a proteggere. Un paradosso inestricabile.
Uno sguardo a chi ha preceduto il microblogging nell’avventura fa tremare i polsi: a parte Big F, Groupon ha perso l’81%, Zynga il 75%. Solo LinkedIn è stabile. Il CEO Dick Costolo ha già chiarito che al momento non sta pensando all’IPO e non vuole neppure vendere. L”indiscrezione, smentita, di un interesse di Apple sembra un amo buttato apposta per incrementare l’interesse eccitato dell’ambiente finanziario. Una cosa è certa: con due flop consecutivi il rapporto tra le web company e i mercati verrebbe compromesso.