Vincere i biglietti per il concerto della band che ami, poter abbracciare i tuoi beniamini. Il sogno di tutte le ragazzine, compreso Flora, la diciassettenne bolognese che un mese fa è volata a New York per conoscere gli One Direction, una boy band molto amata dai teenager. Ma quel sogno è diventato presto un incubo: su Twitter si è scatenata una gara di insulti e minacce che la stanno spaventando. Ma c’è una buona notizia: il trend topic sulla vicenda è un hashtag che dice basta a questa modalità: #iostoconflora.
Una storia molto, troppo somigliante a quella della 14enne di Novara perché non desti qualche preoccupazione. Flora, però, sembra essere più forte, così come è forte la solidarietà – anche tra coetanei – scattata sul social network per contestare la macchina del fango. Violenze verbali incredibili, un massacro che un adulto fatica anche a comprendere.
Le fanatiche degli 1D sono come le Beliebers o altre fan di boyband e ragazzi del pop-rock: non riescono, a causa della loro giovanissima età, a comprendere i limiti, a empatizzare con gli altri. Negli adolescenti la componente narcisistica è molto forte, facilmente una semplice frustrazione (in questo caso, una ragazza baciata dalla fortuna che ha potuto incontrare i suoi idoli) porta a colpire una coetanea con la forza del branco.
Si sprecano i «devi morire», «sciogliti nell’acido», «crepa». La ragazza è stata intervistata da giornali e televisioni, in queste ore, perché raccontasse l’accaduto. In men che non si dica, i suoi follower sono passati da poche centinaia a migliaia: prima per insultarla, poi per difenderla. Anche la vita reale, non solo quella virtuale, comincia ad esserne influenzata. La foto che ha postato dell’incontro con gli 1D (un errore) ha permesso ad alcune ragazzine di riconoscerla e adesso dice di avere paura di salire sul tram o andare a scuola:
L’altra sera passeggiavo per il centro e ho sentito una ragazza urlare “è Flora quella”. Sta diventando una situazione molto pesante. Mi chiedo dove la prenda una ragazzina di 12 anni tutta questa rabbia.
Ora sul microblogging sta accadendo di tutto: molti giovani denunciano questo comportamento, altri ritengono che Flora abbia manie di protagonismo. Di certo la vicenda è emblematica del carattere tribale del web, in particolare dei social, che a volte fingiamo di non conoscere. Il cosiddetto “maoismo digitale”.
Viene alla mente il passaggio quasi profetico di un guru di Internet, Jaron Lanier, che nel suo libro Tu non sei un gadget – purtroppo poco conosciuto in Italia, ma davvero fondamentale per comprendere questi meccanismi – ha puntato il dito contro la “saggezza della folla” e gli algoritmi informatici a danno dell’intelligenza e della capacità di giudizio delle singole persone. Sistema che mette in serio pericolo la creatività intellettuale, lo spirito critico e la stessa idea di sapere.
Così scrive del problema del dibattito in Rete e della impossibilità di fatto della democrazia diretta:
Un coro collettivo non può servire a scrivere la storia, né possiamo affidare l’opinione pubblica a capannelli di assatanati sui blog. La massa ha il potere di distorcere la storia, danneggiando le minoranze, e gli insulti dei teppisti online ossificano il dibattito e disperdono la ragione.
Per questa ragione, questo hashtag che può sembrare banale è invece così importante: il popolo di Twitter deve dimostrare di avere al suo interno gli anticorpi al cyberbullismo, naturalmente senza che i suoi interpreti caschino in un paradossale attacco di senso inverso ma uguale significato. Ma questo non può che dipendere anche dalla società, dai reali valori trasmessi dalle agenzie educative ai minori. Famiglia, scuola, adulti che però spesso restano fuori dal recinto. E magari il problema comincia proprio lì.