Mario Monti, Pierluigi Bersani, Silvio Berlusconi: i leader delle principali fazioni in corsa per la prossima tornata elettorale si sono confrontati a distanza su di un tema sempre più urgente e sempre più incisivo nel modo di pensare il futuro: il digitale, l’innovazione, la tecnologia. A metterli virtualmente attorno allo stesso tavolo per un confronto è stato il Corriere delle Comunicazioni, ove sono stati pubblicati tre articoli firmati direttamente dai tre esponenti per presentare le tre rispettive Agende Digitali. Una interessante e meritevole iniziativa, dalla quale emergono profili per qualche verso opposti, ma per molti versi curiosamente simili nell’approccio al problema. Sarà forse sul non-detto, più che sui concetti espressi, che i tre interventi sapranno mobilitare qualche voto di elettori indecisi.
Diversi i loro ruoli ed i loro precedenti. Mario Monti, Presidente del Consiglio uscente, è il firmatario dell’attuale Agenda Digitale adottata dal paese e, sebbene non abbia ancora nel pedigree un intervento effettivo sul settore, promette di portare avanti iniziative in continuità lineare con quanto abbozzato durante gli ultimi mesi dal proprio Governo; Pierluigi Bersani è ad oggi il principale candidato alla guida del prossimo esecutivo, dunque il suo pensiero si fa immediatamente manifesto di un programma pensato per diventare fin da subto piano di Governo; Silvio Berlusconi ha già avuto la possibilità di tenere in mano per lunghi anni le redini del Paese e, assieme alle spiegazioni per quanto fatto o non fatto in passato, ha la possibilità di rilanciare per spiegare in che modo intende far leva sulla tecnologia per portare a compimento i propri propositi.
Tre articoli, tre programmi, tre modi di vedere lo stesso soggetto: il futuro in digitale del nostro paese. I problemi sono noti e sotto gli occhi di tutti: un drammatico ritardo infrastrutturale a monte dei problemi del digital divide; un divario digitale culturale che taglia fuori fette troppo ampie del paese; una pubblica amministrazione che non è ad oggi in grado di far realmente tesoro della rivoluzione digitale; una scuola non all’altezza della domanda di conoscenza che i più giovani esprimono, spesso addirittura in ritardo rispetto alle conoscenze dei giovani stessi. E molto altro ancora. Le priorità, i problemi e le risposte sono stati individuati ed espressi dai tre candidati, presentando ognuno la propria ricetta per fare dell’Italia di domani un’Italia in grado di rispondere adeguatamente alle pulsioni che il Web e le nuove tecnologie stimolano.
Mario Monti
Vorrei innanzitutto ricordare il lancio da parte del mio governo dell’Agenda Digitale per l’Italia, per anni trascurata dai governi precedenti nonostante una pressante richiesta dalla società civile. Sono convinto dell’assoluta centralità di questo argomento: non è un caso che nelle nostre liste – mi sembra unici – abbiamo candidato personalità di riferimento in questo mondo quali Stefano Quintarelli, Francesco Sacco, Salvo Mizzi e Dianora Bardi
Il programma era noto, i nomi sono il nuovo biglietto da visita: una personalità come Stefano Quintarelli è sufficiente per quanti sono più sensibili alle dinamiche dell’Agenda Digitale poiché ben sanno quale sia stato negli anni l’impegno di Quintarelli contro il digital divide ed in favore di un nuovo modo di intendere gli investimenti per l’innovazione.
Poche le novità rispetto a quanto introdotto già nei documenti precedenti dell’Agenda Digitale, tuttavia l’intervento sembra esprimere maggior convinzione rispetto al passato circa la necessità di portare avanti rapidamente gli investimenti. Il tutto non senza tener in debita considerazione quella che è stata l’esperienza del passato, quando è stata anzitutto la struttura organizzativa a limitare le velleità che pure la classe politica e la società esprimevano: «frammentazione di competenze, mancanza di focalizzazione e inazione» hanno rallentato per troppo tempo il paese ed ora occorre uscirne con un modo nuovo di affrontare il problema.
Mario Monti porta avanti al tempo stesso puntuale pragmatismo nel promettere con cautela la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione: sebbene trattasi di un passaggio obbligato, di grandi potenzialità e di sicuro orizzonte, al tempo stesso le difficoltà sono oggettivamente molte e non è possibile pensare ad una rivoluzione che vada ad espletarsi nel giro di qualche settimana. Quel che Monti porta avanti, insomma, è la promessa dell’inizio di un percorso, una via che si preannuncia lunga e complessa, ma attraverso la quale poter fissare obiettivi ambiziosi.
Idee chiare anche in quanto ad investimenti nelle infrastrutture. Anzitutto, Monti sembra scartare l’idea di uno scorporo della rete “imposto” a Telecom Italia, preferendo in alternativa una soluzione mediata che sappia incontrare gli interessi di tutti gli attori del mercato. Non si può imporre una soluzione dall’alto, insomma, ma al tempo stesso il Governo ha la possibilità di farsi regista del cambiamento: «Occorre intervenire con decisione per sbloccare lo stallo in cui ci troviamo e ridare slancio ad un settore ed al suo indotto centrali per l’occupazione rivolta al futuro e per l’ammodernamento del Paese». Un appello viene inoltre rivolto all’Europa, chiedendo che si possa chiudere un occhio sugli investimenti del settore affinché l’aggravio sulla spesa pubblica possa essere considerato un percorso costruttivo invece che solamente come cifra passiva di cui dover rendere conto all’UE:
Gli investimenti per nuove tecnologie, come quelli per il broadband, l’agenda digitale o le infrastrutture per l’energia, dovrebbero venire valutati per il loro impatto sulla crescita quando si esaminano i conti pubblici di uno Stato membro dell’Ue. Una sorta di temporanea “mini golden rule” sotto il controllo dell’Europa.
Per sconfiggere il lato culturale del digital divide occorre invece agire su più fronti, inoculando conoscenza anzitutto negli strati sociali oggi più lontani dal Web e dalle sue opportunità: partendo dalla scuola ed arrivando ad iniziative firmate RAI, tentando di fare della lotta all’analfabetizzazione digitale un cavallo di battaglia del nuovo, ipotetico, esecutivo Monti.
Un occhiolino, infine, è dedicato al mondo delle Startup:
Le startup innovative richiedono intensità di capitale relativamente basso se raffrontate ad altri settori economici, pur avendo ritorni importanti in termini di occupazione e velocità di ritorno degli investimenti; consentono di capitalizzare un patrimonio di conoscenze e competenze molto diffuso in Italia, non solo nelle regioni del Nord. L’attenzione dimostrata ha già prodotto effetti positivi anche grazie allo Stato che affianca i capitali privati nel finanziamento di imprese innovative.
Pierluigi Bersani
L’innovazione tecnologica è una leva importantissima per ogni strategia di crescita economica e sociale. La prima volta che il centrosinistra ha proposto un programma organico su questo tema è stato nel 2005 con i 10 punti per l’Italia digitale. Anche oggi rimane la necessità di un itinerario coerente
Uno dei primi temi affrontati da Bersani nel proprio intervento è quello della Pubblica Amministrazione poiché, spiega il leader del Partito Democratico, pensare al digitale come ad una semplice occasione di risparmio ed efficientamento delle procedura è da considerarsi un approccio asfittico ed antiquato. Dal PD giunge insomma una proposta più organica, che guardi al digitale anzitutto come ad una opportunità per migliorare il rapporto tra Stato e cittadino o tra Stato e impresa: «La digitalizzazione è l’iniziativa che serve perché la Pubblica amministrazione, migliorando organizzazione e capacità di fornire servizi migliori, efficienti, con minori sprechi e minori costi, diventi uno strumento per migliorare la vita dei cittadini e la competitività del sistema Italia, il welfare alla luce delle nuove esigenze delle persone».
Il lungo intervento di Bersani è costruito su due architravi principali: da una parte è necessario fare in modo che ogni cittadino abbia a disposizione gli strumenti culturali fondamentali per interagire con gli strumenti digitali, identificando così nell’alfabetizzazione un elemento senza il quale non può esserci innovazione; dall’altra si identifica nella Cassa Deposito Prestiti l’organismo con cui il Governo ha la possibilità di mobilitare gli investimenti necessari al fine di dare inizio a quei lavori infrastrutturali senza i quali non è possibile parlare di banda larga o di reti di nuova generazione. Una banda larga, peraltro, che potrebbe trovare risorse essenziali anche e soprattutto (ancora una volta) dalle frequenze: nuovi sforzi in tal senso potrebbero rappresentare una svolta.
In generale l’intervento di Monti appare meno orientato al programma specifico e più improntato a ricordare come il PD intenda agire in continuità con quanto si è tentato di fare da molti anni a questa parte. Nello specifico, per il futuro Bersani sembra voler delineare una politica industriale vera e propria, cercando non tanto di costruire piccoli progetti (per i quali in passato il denaro è stato sperperato in piccoli rivoli), quanto piuttosto tentando di fare sistema mettendo l’innovazione al centro di una politica di azione.
Silvio Berlusconi
Come è noto, a me piace dire la verità: ho più volte detto che io sono un uomo della penna, formatosi in un tempo senza computer. Tuttavia, non è necessario essere stati dei grandi giocatori per essere validi allenatori, come dimostra la vicenda del mio amico Arrigo Sacchi al Milan
La metafora calcistica torna utile anche in questa occasione, quando Silvio Berlusconi sa di non potersi presentare come un uomo delle nuove tecnologie e preferisce quindi presentarsi come un candidato attento alle novità che il mercato esprime. Rivendica pertanto l’aver creato nel 2001 il Ministero per l’Innovazione (sebbene alla storia sia passato soprattutto per la nota vicenda di Italia.it) e punta ancora una volta sulla sua pulsione imprenditoriale per il rilancio del paese: l’innovazione è un motore che l’Italia non può lasciarsi sfuggire.
Al di fuori della “proposta shock” sull’IMU, il profilo di Berlusconi in ambito digitale punta sulla Pubblica Amministrazione per portare i vantaggi dell’innovazione nelle tasche del cittadino e ricorda come il cambio di registro nella PA vada considerato anzitutto come un necessario passo avanti nei confronti del servizio al cittadino ed alle imprese.
Silvio Berlusconi nel proprio programma punta il dito contro le inefficienze dei progetti antecedenti: dell’Agenzia Digitale bocca la farraginosità dell’organizzazione, dell’Agenda Digitale rivendica una nuova ispirazione e più in generale considera la “rivoluzione digitale” come un passo di completamento di quella “rivoluzione liberale” che da Forza Italia in avanti è diventata il vessillo dell’azione politica del Cavaliere.
Un fiscal compact per gli investimenti nell’innovazione ed una azione “mainstream” per la promozione della cultura digitale nel paese rappresentano i due tasselli conclusivi della proposta del Popolo delle Libertà: Berlusconi se ne fa firmatario rivendicando quanto operato in passato (con i ministri Stanca e Brunetta in primis) e quindi proiettando il proprio impegno per il domani in continuità con quanto fatto dai propri precedenti esecutivi.
Cosa farà il prossimo Governo per il mondo digitale? A grandi linee lo si può già intuire dal modo in cui i tre leader principali descrivono le proprie rispettive Agende Digitali. I temi, infatti, sono pressoché comuni: digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, promozione della cultura digitale, focalizzazione sul ruolo pedagogico della scuola, sfruttamento della RAI in qualità di servizio pubblico.
Mentre Silvio Berlusconi non parla nel proprio intervento della Rete e degli investimenti, Mario Monti e Pierluigi Bersani pensano ad un coinvolgimento della Cassa Deposito Prestiti per arrivare ad uno scorporo pilotato o comunque ad una soluzione accomodante per gli attori di mercato interessati. Silvio Berlusconi, inoltre, punta sulla RAI per la promozione della cultura digitale ed in questa proposta si allinea con curiosa assonanza al programma di Mario Monti.
Mentre Monti e Berlusconi, entrambi al Governo nel recente passato, puntano su quanto operato per spiegare le proprie rispettive linee programmatiche, Bersani delinea invece un quadro generale più di contesto, ricordando quante e quali iniziative il PD abbia già portato avanti in passato. E mentre Monti ricorda con fierezza i punti cardine della propria Agenda Digitale, le controparti si allineano nel criticare anzitutto l’Agenzia Digitale identificando in questo organismo un punto di debolezza su cui intervenire per poter portare avanti i propositi di innovazione promessi.
Quel che emerge dai tre interventi è una maggiorata presa di coscienza circa l’importanza del tema, la struttura del problema e le necessità che da anni emergono. Quel che non emerge è una ricetta nuova: vecchie proposte, qualche nuova impostazione, ma la sensazione per cui l’Agenda Digitale possa essere in questa fase più un buon argomento da campagna elettorale che non un buon futuro appiglio su cui costruire davvero il futuro del paese.