Prima la segnalazione come startup del 2011, poi la crescita come azienda e in soli due anni un round di finanziamenti che potrebbero portarla al valore di due miliardi e mezzo di dollari (1,6 miliardi di euro). La parabola di Pinterest, lo scrapbook più apprezzato del web, è davvero impressionante. Spesso resta in ombra rispetto agli ottimi risultati di LinkedIn, alle mai sopite discussioni su Facebook, alla vera Twitter-mania di questo periodo, insomma ai social che sono quotati o potrebbero quotarsi, ma Pinterest è un modello di business ideale sul quale si spreca anche il Wall Street Journal.
Un concetto apparentemente paradossale, visto che in pratica l’amministratore delegato, Ben Silbermann, ha confidato che Pinterest non ha alcuna entrata economica rilevante: si occupa di fornire e gestire un servizio gratuito di condivisione di foto sul sito web, permettendo agli utenti di “pinnarle” come oggetti di interesse, tematizzandole.
Gli esperti di business plan, tuttavia, sanno bene che nel percorso di una startup è del tutto normale lavorare nei primi 12-24 mesi senza concentrarsi sulla remuneratività, mentre è importante il fund rising. Da questo punto di vista, avere un sito del valore di più di due miliardi senza aver chiesto un soldo agli utenti né venduto i loro dati è perfetto (un po’ nello stile del Facebook degli esordi, nove anni fa). La società aveva 20 dipendenti ancora un anno fa, mentre oggi ne impiega 100, alcuni dei quali erano quadri di Facebook e Google. Gli utenti sono arrivati a 50 milioni, erano 9 milioni nel dicembre 2011.
Ora però è venuto il momento di ideare strumenti pubblicitari. Per la stessa ragione per cui ci sta pensando anche LinkedIn: tenere il passo con la crescita e il trasferimento sui dispositivi mobili, che con il loro touch screen hanno avuto un ruolo determinante nell’explot di Pinterest. Ovviamente, dovrà anche corrispondere all’interesse degli investitori, americani, nipponici, che siedono nel cda della società. Ma come? Puntando sulle longevità dei contenuti, che piacciono molti agli editori perché al contrario di Facebook e Twitter non sono soggetti a un rapido decadimento. Hearst, editore di moltissimi testate online, ha affermato di avere più traffico online attraverso Pinterest di quanto ne abbia grazie a Facebook e Twitter insieme.
La startup di San Francisco dovrà integrare un sistema di advertising nel sito e cercare di dare valore al traffico che produce da e per altri siti, attraverso partnership con i marchi. Già lo scorso autunno sono stati avviati i primi strumenti di analisi dati forniti alle aziende per tracciare i comportamenti degli utenti sui loro business account. Pinterest sta cercando anche di implementare gli strumenti legati alle immagini strizzando l’occhiolino a Instagram, dato che è impossibile che la startup rinunci a fornire un servizio di scatto fotografico on-the-go.
L’idea più forte è anche quella che non deve stupire, essendo alla base di ogni servizio con un grafo sociale: i suggerimenti. Molto presto, Pinterest suggerirà agli utenti il consumo di vari prodotti – abbigliamento, cibo, viaggi – analizzando le immagini pinnate. Le Pinterest suggestions sarebbero l’equivalente delle storie sponsorizzate di Facebook o dei tweet sponsorizzati su Twitter, facendo del sito una piattaforma di marketing.
Facile immaginare qualche naso storto da parte degli utenti più tradizionalisti, ma questo è il destino di chi si garantisce importanti investimenti e non si lascia acquisire dai colossi della Silicon Valley: la responsabilità di trovare il modello di businnes è solo rimandata, ma è tua.