Wwworkers.it, la community che da due anni sta lavorando per stimolare il dibattito politico sulle professioni del Web e nel Web, ha presentato in un hangout il suo manifesto programmatico: dieci punti per l’Agenda Digitale secondo chi, nella Rete, ci lavora. Non a caso illustrato a pochi giorni dal voto, ma già orientato ad essere il documento che dovrà essere sottoposto alla prossima classe dirigente in occasione del primo meeting dei lavoratori della rete a Bologna l’8 e 9 maggio. Spunti e note dolenti si sono accumulati nei tanti confronti elettorali ospitati sul blog, che hanno costituito la base del confronto fra lavoratori digitali, influencer, politici, fino ad arrivare a una sintesi.
Lavorare sulla Rete non significa più, ormai, pensare a quelli che la fanno materialmente, ma alle persone che lavorano con essa (makers, professionisti) e al lavoro stesso. Concetto ancora più ampio. Così ha esordito nella diretta la giornalista Anna Masera, parlando da Torino insieme a Ivana Pais (la Nuvola del Lavoro – Corriere.it), Daniele Vulpi (Repubblica.it) e Giampaolo Colletti, fondatore di wwworkers.
La cerchia del lavoro in rete si sta allargando, la massa critica è la base degli obiettivi di wwworkers, che con le loro richieste sollevano le grandi questioni che l’Italia scarsamente innovativa deve affrontare: infrastrutture, diritti, alfabetizzazione, e-commerce, open data, startup. Tutti terreni decisivi per lo sviluppo economico e anche quello democratico del Belpaese.
«L’agenda digitale è stata molto chiacchierata, ma vedo pochissimo programmi elettorali che ne parlano», ha detto ancora la Masera nel videoritrovo dalla sua sede alla Stampa, a cui ha fatto coro anche Daniele Vulpi:
L’Agenda digitale rischia di restare una scatola vuota. Il governo ci ha messo una persona di grande valore, ma 65enne: sarà un mio limite, ma proprio non riesco a immaginare che questa sia la strada per pensare all’Italia tra 15 anni.
Per aprire la discussione pubblica alla realtà, enormemente importante, della Rete, il manifesto è solo il punto di partenza, che conta sull’interesse e la presenza – recente – dei politici nei social network (l’hashtag è #wwworkers). I ministri uscenti del governo hanno mostrato un interesse genuino per questo tema e in campagna elettorale tutti i candidati, chi più chi meno, hanno dovuto confrontarsi coi cittadini in dirette chat o question time sui social. Insomma, qualche spiraglio c’è.
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Ecco i dieci punti del manifesto, ciascuno presentato da alcuni membri della community:
- Erodere il digital divide. Sostenere la spinta per la copertura nazionale di servizi con banda larga e ultralarga, anche in realtà geografiche lontane dai contesti metropolitani, attraverso investimenti pubblici e incentivi a quelli privati.
- Pensare al wi-fi come la toilette. Promuovere l’obbligo per gli esercizi pubblici di rendere la connessione wi-fi disponibile e pubblica, come avviene oggi per i servizi igienici.
- Alfabetizzare al digitale. Promuovere un piano per l’alfabetizzazione digitale, coinvolgendo il terzo settore, le associazioni di categoria, le organizzazioni sindacali e gli enti locali, per far sì che tutti i cittadini colgano le opportunità della rete. Promuovere corsi “blended” (in aula e online) e l’apertura di sportelli informativi per fornire servizi concreti su come lavorare in rete.
- Digitalizzare il made in Italy. Le tecnologie digitali rappresentano un’occasione per le Piccole e Medie Imprese per rafforzare la collaborazione e raggiungere i mercati, ma spesso queste aziende non hanno le risorse – economiche e di conoscenza – per cogliere le opportunità. Servono incentivi alla creazione di reti digitali tra le imprese, volte alla collaborazione e all’internazionalizzazione, anche attraverso la messa in comune di banche dati e scambi tra realtà differenti.
- Liberare l’e-commerce. Oggi l’e-commerce è soggetto alla normativa per il commercio, pensata intorno ai canali tradizionali. Ciò crea confusione e rallentamenti. È necessario semplificare radicalmente la normativa sull’e-commerce e prevedere specifici incentivi per le imprese che avviano questa attività.
- Ascoltare il mondo della rete, stakeholders e influencer. Il settore legato all’economia digitale è trasversale ai differenti settori produttivi e spesso escluso dai meccanismi di concertazione. Aprire la discussione pubblica a queste realtà permetterebbe di programmare politiche più attente alle innovazioni.
- Ciò che è prodotto con soldi pubblici, deve essere pubblico e in rete. Il sapere prodotto nelle università, la cultura sostenuta da fondi pubblici, i dati elaborati dalla Pubblica Amministrazione devono essere accessibili a tutti e utilizzabili per promuovere attività economiche. Occorre che si scelga l’open data per trasparenza, semplificazione e miglioramento dei servizi al cittadino.
- Il telelavoro come diritto. Introdurre la modalità di lavoro in remoto per tutte le attività per cui è tecnicamente possibile, almeno per una parte del monte ore. In questo modo si favorirebbe il “work-life balance”, la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, si spingerebbe l’innovazione delle imprese e si abbatterebbero i costi ambientali e strutturali legati agli spostamenti casa-lavoro.
- Ripensare il welfare nell’ecosistema digitale. Istituire il diritto ad una pensione di base per tutti i lavoratori a seguito della cessazione dell’attività lavorativa. Istituire una indennità di maternità universale, superando la logica delle tutele esclusivamente legate al lavoro subordinato. Proporre un salario minimo garantito per le attività parasubordinate per cui non valgono i minimi definiti dalla contrattazione collettiva. Promuovere la diminuzione del carico fiscale contributivo per i lavoratori autonomi.
- Dare spazio alle nuove imprese. Fornire in locazione agevolata immobili inutilizzati della Pubblica Amministrazione, in modo da creare spazi di co-working per start up innovative e legate al mondo digitale.