Se già è di fatto impossibile definire “popolo” gli italiani, viste le diversità che da sempre frammentano e dividono lo stivale, come si può pensare con un minimo di logica di poter utilizzare in qualsiasi accezione la definizione di “popolo della Rete“? Se già è arduo comprendere e tenere uniti sotto una sola bandiera i cittadini dell’Italia dei campanili, come si può pretendere di accomunare sotto un unico nome tutti coloro i quali, per motivi diversi e con specificità diverse, accedono semplicemente al mondo online, ai blog, ai social network, ai motori di ricerca, al porno gratuito, ad un moderno messaggio evangelico virtuale, ai forum di discussione, ai siti di informazione, al dating, alle scommesse ed a qualsiasi altra espressione di quel che è il mondo infinito del Web?
Eppure eccolo il mantra del momento, ad aggiungere polvere al polverone delle elezioni ed a mischiare caos alla confusione: cosa dice “il popolo della Rete”. E giù a mettere in bocca strumentalmente al “popolo della Rete” la polemica che più aggrada a chi sta scrivendo.
Ed è così che un giorno il “popolo della Rete” diventa il paladino che ha portato Grillo ed il Movimento 5 Stelle in Parlamento. Il giorno dopo, però, il “popolo della Rete” è quello che chiede a Grillo l’inciucio con Bersani. Ma viene anche il giorno in cui “popolo della Rete” se la prende con la presunta incompetenza dei grillini, e lo stesso “popolo della Rete” continua poi la polemica a stretto giro di posta portando avanti anche le tesi contrarie, ulteriori, varie e casuali.
La realtà è tanto ovvia ed evidente che è avvilente doverla ricordare a tutti, opinionisti e giornalisti, politici e politologi, gente comune e critici improvvisati. La realtà è tanto chiara che sembra cacofonico dover ripetere verità tanto lapalissiane. Eppure è necessario, perché il momento lo impone. Per cui non resta che usare il maiuscolo, il grassetto ed un tono adeguatamente stringato e diretto:
IL POPOLO DELLA RETE NON ESISTE
Punto. Detto questo, è possibile tirare un sospiro di sollievo nella certezza di aver confuso le idee in modo ulteriore a chi credeva, o voleva credere, di aver capito tutto. A chi pensava ad urne chiuse di poter tirare le somme ed esprimere compiute analisi politico-sociali al termine di una elezione nella quale nessun sondaggio ha dimostrato di aver capito statisticamente nulla degli italiani.
Racchiudere milioni di persone sotto un solo cappello, del resto, è comodo per chi non ha grosse intenzioni (o risorse cognitive) per approfondire l’analisi. Del resto una volta lo si chiamava più comunemente “share”, era il popolo del divano e della tv ed era accomunato da tempi (strutturati sui palinsesti), modalità (divano, salotto, televisione) e strumenti (telecomando e zapping). Oggi ricondurre le logiche extra-internet alle logiche internet è impossibile e sciocco, ma una classe politica intera (con relativo indotto) ci è cascata ed ora vaga nel buio alla ricerca di una soluzione. Accompagnata in ciò da un corollario di prezzolati e saccenti espertoni che, in tv, spiegano con somma sicurezza la “rivoluzione di internet” (scoperta però soltanto oggi, anno 2013).
Il fenomeno Grillo? Ognuno può pensarne ciò che meglio desidera, non è questo il punto. Ed ecco quale è la reale magia del Web: la diversità naturale che divide le persone e differenzia le idee. La non-omogeneità fatta di una eterogeneità naturale propria di una somma casuale di individui. Chi, dotato di materia pensante e coscienza critica, potrebbe parlare di “popolo di Facebook”, “popolo di Twitter” o “popolo di Google”? Se non altro ci sarebbe uno strumento ed una url a definire il gruppo ed a concentrare tutti nello stesso “luogo” virtuale, ma ancora non sarebbe sufficiente. Chi tira per la giacchetta il “popolo della Rete”, invece, non ha più alcun appiglio: la definizione è evidentemente strumentale, un modo per piegare alle necessità del momento l’idea che si intende portare avanti.
Eccolo il giornalista filo-governativo, pronto a scagliarsi contro Grillo per ricordare a tutti che “il popolo della Rete” sta mettendo in luce le debolezze del M5S. Eccolo poi il grillino scatenato che risponde, e che ricorda quanto “il popolo della Rete” abbia già scelto e sia pronto a farsi rappresentare in Parlamento. E poi, in base a quel che succederà, il “popolo della Rete” avrà premiato o bocciato, scaricato o eletto, confermato o smentito, eccetera.
Al massimo la puoi chiamare gente
Certi errori non sono però né semplicemente ingenui, né superficialmente neutri. L’ingenuità non è tollerata, anzitutto, in un momento tanto delicato per le sorti politiche del paese: la strumentalità con cui il “popolo della Rete” viene tirato in ballo è criminale. E l’errore non può semplicemente essere guardato facendo spallucce: il “popolo della Rete”, infatti, viene collegato ad uno strumento già in sé troppo fragile e che l’Italia da troppo tempo fa di tutto per annichilire con leggi Pisanu, leggi-bavaglio, insidiosi commi di censura, leggi milleproroghe ed altri interventi scomposti e deleteri.
Popolo non lo è, al massimo la puoi chiamare gente. Al massimo lo si può interpretare come un taglio sezionale di una somma di community, frammentato all’ennesima potenza, liquido per sua natura, intangibile per vocazione. E la gente di Internet, quella che ha capito che la Rete possa veicolare dei valori di innovazione pur essendo un mero strumento, dovrà difendere lo strumento medesimo proprio in virtù del fatto che può farsi vessillo della pulsione al cambiamento. Perché come ai tempi era sottilmente sbagliato pensare che la Rete avrebbe meritato un nobel, in futuro sarebbe sbagliato pensare che la Rete possa aver spostato equilibri politici agendo da attore protagonista in una campagna elettorale. La verità è che esiste uno strumento e che milioni di persone vi sono collegate; uno strumento che qualsiasi fazione politica può tentare di utilizzare a proprio piacimento, per marketing o per discussione, per presenza o per cercare una community; uno strumento che non rappresenta chi lo usa, che non si fa carico di alcun valore, che non si fa testimonial di alcun messaggio. Uno strumento che, quindi, altro non è se non uno strumento.
La campagna elettorale che si è chiusa porterà avanti strascichi pericolosi di polemica per molte settimane ancora. Dalle Parlamentarie agli account Twitter aperti per cavalcare il passaparola, dalla paventata elezione diretta del Presidente della Repubblica ai “condividi” incontrollati per qualsiasi fandonia non verificata di cui i social network si son fatti carico. La Rete sta diventando l’ombelico della comunicazione con i più giovani, ma legare il messaggio allo strumento sarebbe un errore imperdonabile per chi volesse capire davvero il momento storico.
Poi viene il giorno in cui il Governo è stato nominato. Improvvisamente gli account Twitter nati durante le elezioni smettono di cinguettare, i blog ufficiali diventano semplici volantini statici ed i problemi del digital divide tornano ad essere insormontabili obiettivi a fronte di budget mai dedicati davvero alle infrastrutture. Se davvero esistesse un “popolo della Rete”, dovrebbe dunque ora alzarsi e battere i pugni. Dovrebbe chiedere di smetterla di essere tirato in ballo. Dovrebbe rivendicare la propria identità e le proprie idee, invece di farsi mettere in bocca la battaglia di turno dal quaquaraqua del momento. Ma tutto ciò non succederà, non può succedere. Il “popolo della Rete” non parlerà mai. Non eleggerà mai un proprio rappresentante. Non porterà mai avanti rivendicazioni. Non farà mai sentire la propria voce. Perchè il “popolo della Rete”, semplicemente, non è.