Beppe Grillo ha sdoganato anche i troll. Sebbene milioni di italiani li immaginino come piccoli folletti buffi e dispettosi, non intuendo dunque la reale natura della parola nella sua accezione più moderna, i troll sono improvvisamente entrati nella volgata comune grazie ad un post con il quale il leader del Movimento 5 Stelle ha puntato il dito contro commenti sospetti apparsi sul proprio blog.
Da mesi orde di trolls, di fake, di multinick scrivono con regolarità dai due ai tremila commenti al giorno sul blog. Qualcuno evidentemente li paga per spammare dalla mattina alla sera.
Assieme ai troll sono comparsi improvvisamente anche i commentatori di troll, veri e propri troll di ritorno, coloro i quali si sono affrettati a scagliarsi sulla polemica per analisi prospettiche, per critiche politiche, per interessi di parte e motivi ulteriori di varia natura. Chi da più tempo vive e frequenta la Rete, probabilmente, sorride di fronte alla polemica e si chiede perché, improvvisamente, in mezzo a tutti i problemi dell’Italia, un “troll” possa diventare un problema di cui discutere prima di spread, debito pubblico e governi del miracolo.
Beppe Grillo ha lanciato una accusa che di per sé può essere tanto fondata quanto infondata: strano che troppi commentatori abbiano dato per scontata la verità dei fatti a prescindere, qualunque fosse la verità ritenuta più attendibile. Documentazione, analisi e verifica non servono più: si parte da una tesi arbitaria e si cercano elementi più o meno solidi per dimostrarla. L’accusa di Grillo è in realtà precisa: ci sarebbero migliaia di utenti, probabilmente in dolosa malafede, che si scagliano contro il blog più seguito d’Italia per dividere e screditare. I commenti e le chiavi di lettura da politologi le lasciamo a chi si sente investito del sacro potere dell’interpretazione, mentre in questa sede è più opportuno capire se sia vera o meno la dichiarazione di Grillo.
Ed una cosa è certa: non è possibile saperlo.
Dalle parole scritte nel post, è possibile intuire un legittimo sospetto: che migliaia di persone con medesimo indirizzo IP scrivano sul post, firmandosi in più nomi pur essendo vagamente identificabili come un piccolo manipoli di manipolati. Impossibile però andare oltre il sospetto: perché non si conoscono gli indirizzi IP dei commentatori; perché l’indirizzo IP può essere fuorviante nell’identificazione; perché non si dispongono cifre statistiche utili a confermare o confutare la tesi del post. E se anche il sospetto fosse confermato: perché dubitare dell’esistenza di troll digitali quando ci sono pullman interi di troll “reali” pronti a partecipare ad una manifestazione politica a fronte di un rimborso di qualche euro?
Così come nel caso dell’analisi del Sole 24 Ore sui guadagni di Beppe Grillo sul proprio blog, dunque, urta più che altro la corsa al commento ed alla strumentalizzazione. Di per sé, infatti, il caso non merita probabilmente l’attenzione ricevuta e le divagazioni del post sembrano ridurne ulteriormente la portata: un troll che si fa strumento di una polemica pilotata sarebbe da sicura condanna morale, mentre il troll “abituale” è più un rigurgito di disagio sociale che non una vera arma puntata contro un movimento o il suo leader. L’accusa cade nel vuoto, dunque: Grillo non l’ha supportata con dati certi ed il tutto sfuma pertanto nella semplice provocazione.
Troll e troll di ritorno
Grillo sembra tuttavia essere infastidito più da tutto quel che segue l’attività del troll, ossia l’eco che raccoglie sui media mainstream e sull’uso di ritorno che si fa di quanto pubblicato sulla bacheca aperta del suo blog:
Da questa brodaglia i telegiornali e i talk show colgono fior da fiore, con lerci e studiati “copia e incolla” per spiegare che Grillo è un eversivo, che il MoVimento 5 Stelle è spaccato. Di solito partono così “Il MoVimento 5 Stelle si divide sulla linea Grillo, ecco i commenti dal blog”. Dato che nel blog chiunque può commentare questo non vuol dire nulla. Prima vomitano i commenti sul blog e poi li rivomitano nelle televisioni.
In questo caso l’analisi sembra entrare più nel merito, stigmatizzando la strumentalizzazione dei contenuti online. La stigmatizzazione meriterebbe però di essere ben più generale e bidirezionale, perché non è possibile interpretare la Rete con i medesimi paradigmi utilizzati per altri media ed altri settori. Bisognerebbe smetterla di parlare di e al “popolo della Rete“, perché quel popolo non esiste in quanto popolo: al massimo come aggregazione eterogenea e liquida, ma priva di qualsivoglia segno identificativo in grado di fare da collante. Bisognerebbe smetterla di estrapolare commenti e trasformarli in urla: sono soltanto commenti, scritti in fretta, spesso senza rifletterci troppo su, e spesso invisibili all’occhio stesso di chi legge. Bisognerebbe smetterla di usare la Rete solo come campo di raccolta: bisognerebbe coltivare il Web invece di raccogliere le erbacce contestando la quantità di gramigna presente.
C’erano una volta le guerre che nascondevano dietro le religioni motivi di scontro ben più solidi. Ci sono oggi guerre ideologiche che nascondono dietro al Web tutto quel che il pudore impedisce di riversare con trasparenza nella battaglia politica. Un senso civico collettivo dovrebbe però tentare di tenere fuori il Web da qualsivoglia strumentalizzazione, di qualsivoglia colore e fazione. Che il Web faccia il Web. Troll, giornalisti e politici imparino a conoscersi ed a convivere, affinché sia chiaro a tutti chi ha più da offrire per il bene dell’Italia e degli italiani. Perché solo questo, oggi, conta davvero.