iTunes Store ha compiuto ufficialmente 10 anni. Si è già parlato dei festeggiamenti voluti da Apple per questa grande occasione, con la diffusione di una timeline di tutti i successi storici del servizio, dagli U2 primo record di download fino agli odierni risultati dell’ultimo album di Justin Timberlake. Ma, proprio dopo un decennio di strada spianata, l’ecosistema digitale di Apple si avvia ad affrontare le sfide più dure.
Nell’ultimo quarto fiscale iTunes Store è stato in grado di raggiungere i 2,4 milioni di dollari di guadagni, molto più di quanto Universal Music Group ha sborsato lo scorso anno per acquisire EMI. Come sottolinea Forbes, tuttavia, il mercato musicale voluto da Steve Jobs sta oggi subendo un profondo cambiamento, una nuova era che potrebbe costringere Apple a cambiare repentinamente strategia.
iTunes Store nasce nel 2003, nel pieno della moda del filesharing. In un momento così difficile per l’industria dei contenuti, Cupertino è riuscita a convincere le case discografiche della bontà della propria idea e, nel giro di pochi mesi, ha affermato il suo negozio virtuale come la prima modalità al mondo di approvvigionamento di brani musicali. Si sono quindi aggiunti i film, le serie televisive e le applicazioni per iOS, per quello che è uno dei mercati record degli ultimi 10 anni. iTunes ha facilmente superato vendite e guadagni dei distributori fisici, tanto che oggi la bontà di un album non viene più misurata sulla base delle tradizionali classifiche di vendita bensì sul suo ranking nel negozio multimediale targato Mela. Ma, proprio raggiunti i 10 anni, il mercato inizia a essere profondamente trasformato. Lo spiega Walter Piecyk di BTIG:
«Gli utenti hanno costruito delle librerie. Ma le funzionalità di servizi come Spotify e il fatto che funzionino su device multipli, riduce l’interesse verso l’acquisto di canzoni su iTunes e determina un punto di differenziazione per Apple.»
Proprio così: nell’era della Rete e del cloud, dove i supporti fisici iniziano a farsi via via sempre più rari, il consumo di musica corre sullo streaming. Servizi semi-gratuiti e legali come Spotify, oltre a fornire delle interfacce molto simili a iTunes, rendono l’acquisto di musica virtualmente inutile. L’utente si trova di fronte a un catalogo immenso di brani gratuiti, o da fruire per pochi euro al mese, e non ha più bisogno di dotarsi di copie fisiche dei contenuti per goderne. Spotify, ad esempio, funziona anche sui device iOS e Android e può essere utilizzato anche su connessione 3G in mobilità, eliminando così l’onere di dover trasferire svariati GB di dati sul proprio iPod o sul proprio iPhone. E sebbene la fruizione mobile richieda un abbonamento mensile, si tratta di cifre poco più alte di un solo album in vendita su iTunes.
Appare evidente come l’offerta in streaming sia ormai diventata molto più appetibile della compravendita di brani musicali e, qualora i rumor degli ultimi tempi trovassero conferma, non è detto che il modello non si estenda anche a film e serie televisive. Le abitudini del consumatore stanno cambiando e ritornano, in senso lato, al periodo di massima crescita del filesharing: non si acquistano brani perché vi è un’alternativa gratuita. E questa alternativa gratuita è molto più appetitosa del filesharing stesso, perché ora si è in un ambito di piena legalità. Apple si trova quindi di fronte alla sfida più grande della sua carriera decennale con iTunes e pare che la affronterà lanciando una iRadio, un servizio di streaming molto simile al già citato Spotify. Per strappare davvero utenza al concorrente, però, la Mela dovrà fornire delle feature che altrove mancano. E tornare a convincere le sempre più riluttanti case discografiche.