Nelle ultime ore, mentre il Governo presentava viceministri e sottosegretari, ecco giungere in pubblicazione un articolo nel quale dalla Presidenza della Camera vien sollevato un vecchio dubbio, un antico tarlo che erode da sempre le poche certezze che la cultura digitale di questo paese, a fatica, ha tentato di costruirsi. Un tarlo che nasce da minacce sessiste e scabrosi fotomontaggi che Laura Boldrini avrebbe ricevuto con sempre maggior frequenza dal Web, una sorta di rassegna stampa raccolta online ed usata come fosse una fotografia del canale attraverso cui è stata raccolta.
Anche se bisogna far attenzione fin da subito ai termini: le minacce non sono state “ricevute”, ma sono state “raccolte”. E sebbene fossero online, sarebbero state stampate, aggregate e così analizzate. Detto questo, può iniziare un dibattito che la stessa Boldrini auspica sereno e costruttivo. E che in queste righe si intende mantenere tale.
Non ho paura, adesso, di aprire un fronte di battaglia, se necessario. Daremo visibilità a un gruppo di fanatici? Sì, è vero. Ma non sono pochi, sono migliaia e migliaia, crescono ogni giorno e costituiscono una porzione del Paese che non possiamo ignorare: c’è e dobbiamo combatterla….
Centinaia di pagine stampate, migliaia di messaggi. A ciascuna minaccia corrisponde un nome e un cognome, un profilo Facebook, l’indirizzo di una pagina Internet. Le minacce – tutte a sfondo sessuale, promesse di morte violenta – si sono moltiplicate nel giro di due settimane con il tipico effetto valanga che la Rete produce
#ilrumoredeinemici
storia di una guerra ideologica
Laura Boldrini: meno anarchia sul Web
Le parole del Presidente della Camera giungono come un fulmine su anni di dibattito sulla questione. Un fulmine educato, ben formato, scagliato con fare cauto e costruttivo, ma non per questo indolore. E non per questo senza il rischio di far danno.
A quanto pare sarebbe stata qualche minaccia scomposta (ma stampata e protocollata dal lavoro di una assistente) per dar forma ad una paura. E la paura, come spesso accade, è cattiva consigliera. Le parole di Laura Boldrini sono testimoniate da un articolo di Concita De Gregorio per La Repubblica: pur partendo da dati di fatto inoppugnabili, si incanalano presto in una direzione estremamente perigliosa, poiché antepongono il controllo ad ogni altra premura senza considerare la natura stessa delle comunicazioni online. Nelle parole della Boldrini c’è uno scontro diretto tra vasi di coccio: l’inopportunità, l’ignoranza e l’inconsapevolezza di talune invettive online contro la fragilità di certi facili timori. Il tutto in un promiscuo calderone dal quale, come troppo spesso succede, si punta il dito contro la Rete dimenticando quanto eterogenea, liquida, vasta, aperta e peculiare sia.
Il discorso nasce innocente, sulla base di motivati timori derivanti dalla ricezione di minacce che in parte denotano il ribollire di sentimenti d’odio:
Abbiamo due agenti della polizia postale, due, che lavorano alla Camera, distaccati qui a vigilare sulle moltissime violazioni di cui un luogo istituzionale come questo può essere oggetto. C’è stato il caso della parlamentare del Movimento Cinque Stelle di cui è stata violata la posta personale. C’è il caso di una deputata oggi ministra che non ha più potuto accedere ai suoi social network e teme che a suo nome si possano divulgare messaggi non suoi. Poi ci sono le minacce di morte nei miei confronti. Tutte donne, lo dico come dato di cronaca. So bene che la questione del controllo del web è delicatissima. Non per questo non dobbiamo porcela. Mi domando se sia giusto che una minaccia di morte che avviene in forma diretta, o attraverso una scritta sul muro sia considerata in modo diverso dalla stessa minaccia via web. Me lo domando, chiedo che si apra una discussione serena e seria. Se il web è vita reale, e lo è, se produce effetti reali, e li produce, allora non possiamo più considerare meno rilevante quel che accade in Rete rispetto a quel che succede per strada.
Difficilmente una discussione serena e seria può però essere tale se si mettono nello stesso calderone il razzismo, il sessismo e le elucubrazioni Photoshop di qualche sciocco che si nasconde dietro uno schermo. Non bisogna dimenticare infatti quanto la Rete sia in grado di fungere da megafono di chiunque, ma soltanto agli orecchi di chi vuol sentire: un passaparola fatto di copia/incolla e “condividi” spesso si maschera da rivoluzione, ma al di fuori dei bit tutto suona ovattato e non sortisce effetto alcuno. Il Web è vita reale dunque? Si, ma ne è soprattutto una manifestazione. E produce effetti reali? Si, ma mediati e che in quanto tali vanno interpretati.
Siti di destra, razzisti e xenofobi, pagine Facebook, di seguito l’effetto macchia d’olio, incontrollabile. Dunque cosa fare?, è l’intatto quesito che si ripropone ogni volta che ci si trova di fronte a messaggi, comunicati, rivendicazioni di una minoranza violenta. Dar loro visibilità e amplificarli, facendo il loro gioco, o tacere, subire, reagire sul piano della denuncia individuale senza offrire un più largo palcoscenico a quelle miserevoli gesta.
Il problema non è quanto ampio sia il palcoscenico, ma quanto popolata sia la platea: concetto chiaro agli occhi di chi guarda un display come una superficie da click e chi lo guarda invece come una macchina da palinsesti.
Molto ci sarebbe da imparare dal percorso che hanno compiuto alcune note associazioni per la lotta alla pedofilia. Soltanto pochi anni or sono, infatti, interpretavano la Rete come la minaccia prima da debellare, come la metastasi che moltiplicava le opportunità dei malintenzionati che nascondevano le loro perversioni dietro mouse e tastiera. Oggi le stesse associazioni lavorano attivamente online per scovare peccato e peccatore, per identificare ed aiutare le vittime, per trovare i canali del malaffare e seguirne le tracce fino alle quattro mura che contengono la vergogna e il dolore. Quelli reali, quelli che vengono prima dei bit. Oggi la rete non è più il nemico da combattere, ma è definitivamente vista come un fondamentale alleato: una maturazione importante e rapida, che ha cambiato il punto di osservazione consentendo di portare a galla con sempre maggior incisività l’essenza putrida del fenomeno e non soltanto il suo odore.
Così, allo stesso tempo, Laura Boldrini ed il suo entourage dovrebbero probabilmente tentare di osservare la Rete non come un canale mainstream di trasmissione attiva che promulga messaggi alle masse, ma come cartina di tornasole con cui estrapolare dalle stesse masse le sensazioni emanate; come microscopio con la quale identificare eventuali problemi di ordine pubblico; come bacheca aperta nella quale leggere le invettive pericolose distinguendole dall’ignoranza, dall’inconsapevolezza o dal bisogno perverso di urlare per far ascoltare messaggi altrimenti vuoti.
Chiude l’articolo:
Ma è come svuotare il mare con un bicchiere. Credo che ci dobbiamo tutti fermare un momento e domandarci due cose: se vogliamo dare battaglia – una battaglia culturale – alle aggressioni alle donne a sfondo sessuale. Se vogliamo cominciare a pensare alla rete come ad un luogo reale, dove persone reali spendono parole reali, esattamente come altrove. Cominciare a pensarci, discuterne quanto si deve, poi prendere delle decisioni misurate, sensate, efficaci. Senza avere paura dei tabù che sono tanti, a destra come a sinistra. La paura paralizza. La politica deve essere coraggiosa, deve agire.
Sessismo e Rete sono due entità che non hanno nulla a che vedere una con l’altra: l’una è una forma di violenza, l’altra è un canale di comunicazione tra tanti. Il sessismo nasce altrove e se arriva in Rete è perché in Rete, assieme alle persone, arriva ogni pulsione umana: l’intelligenza, l’amore, l’affetto, la paura, la comprensione, la tenerezza e l’odio. Sì, anche l’odio.
Prima di agire, dunque, servirebbe capire ed evitare di spostare il dibattito indietro di qualche lustro. La quantità degli insulti ricevuti online dovrebbe fungere da lente per l’identificazione dei rigurgiti d’odio che la comunità manifesta, evitando però di guardare al dito invece che alla Luna. Ogni volta che si parla di “controllo sull’anarchia del Web” si è fatto un passo un passo indietro. E si guarda quindi la realtà nuovamente da più lontano.