Anche il Presidente del Senato Pietro Grasso, dopo che il Presidente della Camera Laura Boldrini ha già fatto il proprio passo indietro, ritratta le frasi di pochi giorni or sono nelle quali spiegava (non senza pressioni da parte dell’intervistatrice, ma al tempo stesso non senza sufficiente chiarezza) la necessità di leggi speciali per punire i reati commessi sul Web:
Credo sia il caso di fare un po’ di chiarezza in merito a quanto si è letto e scritto dopo le mie parole sul tema della rete: non è mai stata mia intenzione auspicare in alcun modo interventi che limitino la libertà, non ho mai invocato censure, bavagli o “leggi speciali” come da più parti è stato scritto.
Tuttavia le argomentazioni utilizzate non sembrano smontare del tutto le intenzioni palesate nella prima intervista a SkyTG24, della quale è utile rileggere in questa sede almeno il passaggio centrale che oggi il Presidente del Senato intende smentire:
Si devono avere delle leggi che colpiscano i reati commessi attraverso il Web, di qualsiasi tipo: dall’insulto alla minaccia, dall’ingiuria alle cose anche più gravi
Grasso divide il proprio nuovo intervento in due parti: dapprima ribadisce la sacrosanta necessità di normative internazionali che consentano una regolamentazione più chiara tra i confini ed un superamento dei vincoli nazionali nel perseguimento dei reati; in un secondo tempo passa alle violenze “verbali” ed alla difficoltà di trovare un punto di equilibrio soddisfacente tra libertà e controllo. A tal proposito, spiega Grasso in un post pubblicato su Facebook:
Per quanto riguarda invece la violenza verbale, l’insulto, la minaccia, capisco e condivido la preoccupazione di chi vede nelle “regole da mettere alla rete”, la paura che tali limitazioni siano usate per limitare la libertà di espressione e di opinione politica. Ma questo non deve impedire ad uno stato di difendere i propri cittadini dall’insulto, dal razzismo o dalle minacce.
#ilrumoredeinemici
storia di una guerra ideologica
Si fa quindi appello alle parole di Frank La Rue, Relatore Speciale delle Nazioni Unite, secondo il quale «le leggi per combattere espressioni di violenza, odio ed intolleranza (il cosiddetto “hate speech”) devono essere attentamente analizzate ed applicate da parte della magistratura, così come deve essere evitata l’eccessiva limitazione di modi di espressione legittimi. Allo stesso tempo, mentre le leggi sono certamente necessarie e rappresentano una componente importante per affrontare la violenza verbale, queste dovrebbero essere integrate da misure politiche il più ampie possibili per ottenere cambiamenti reali nella mentalità, nella percezione e nelle argomentazioni della persone».
Insomma: mentre da una parte serve una regolamentazione che consenta di perseguire i reati senza limitare la libertà, dall’altra serve una maggiore educazione degli utenti affinché operino online con consapevolezza del fatto che la parola scritta su una bacheca online equivale ad una parola pronunciata nella realtà offline, con medesimo impatto e medesime ripercussioni. Conoscere la Rete e capire che non è una realtà parallela, ma bensì una realtà integrata, significherebbe limitare talune violenze all’interno di nuovi codici di educazione e, al tempo stesso, concepire con maggior chiarezza quali siano le conseguenze per eventuali atti violenti trasmessi per mezzo del Web:
Alla tutela della libertà dobbiamo affiancare anche un dibattito approfondito e sereno sulla responsabilità di ciascuno. Per contrastare questa triste deriva non servono norme ulteriori, bastano l’informazione e l’educazione. Siamo sempre cittadini e ci rivolgiamo ad altri cittadini anche quando pubblichiamo un post, un commento, un tweet. Vista l’importanza che tutti riconosciamo alla rete credo che possiamo concordare sul fatto che della rete si faccia un uso pienamente consapevole.
Un esame retrospettivo di quanto accaduto in questi giorni non sembra però consentire di abbassare completamente la guardia: alla nuova presa di posizione di Laura Boldrini ha fatto seguito la denuncia di colui il quale ha caricato su Facebook (forse per primo) un suo fotomontaggio ritenuto offensivo. Il caso si è caricato fin da subito di note polemiche di color politico, per poi farsi ancor più fumoso nel momento in cui dalla Procura della Repubblica sono trapelate indicazioni che sembrano tirare in ballo il fatto che il diretto interessato fosse un giornalista. Non è chiaro, insomma, a che titolo siano state avviate le indagini e quale sia il reato contestato. Nelle stesse ore la Polizia Postale ha annunciato una “volante virtuale” per controllare il Web e tutto ciò mentre Pietro Grasso affida a Facebook una ritrattazione che sembra più che altro un passo avanti nella direzione di un nuovo modo di intendere il controllo delle comunicazioni online.
Una cosa emerge con chiarezza: non verranno approntate leggi nuove per poter controllare in modo più serrato il Web. Al tempo stesso sembra possibile però un adattamento delle leggi esistenti, o un cambiamento nel regime di monitoraggio e persecuzione, rendendo così più semplice l’identificazione degli utenti (cosa espressamente suggerita dal Comandante della Polizia Postale Apruzzese) e l’applicazione delle normative alla realtà “liquida” del mondo online. Se sulle finalità sembra esserci generale accordo (nessuno contesta la necessità di far rispettare le normative), sulle modalità e sui principi di fondo sembra non esserci ancora un sostrato lineare sul quale sviluppare la discussione.
Le presidenze di Camera e Senato condividono il merito di aver, non senza provocazioni forti, aperto il dibattito.