La polizia statunitense vuole avere accesso ai dati conservati sugli iPhone sequestrati a malviventi o implicati in reati vari, ma non può farlo senza l’aiuto di Apple. E la richiesta è diventata così importante, tanto che si è resa necessaria l’istituzione di una “waiting list”. Cupertino fornirà tutte le informazioni necessarie alle autorità, ma con calma.
Si è già parlato in passato delle preoccupazioni della DEA, la Drug Enforcement Administration, per l’impossibilità di accedere agli scambi iMessage sui telefoni dei criminali colti in fallo. Il sistema di crittazione voluto da Apple sarebbe così impenetrabile tanto da lasciare le autorità a brancolare nel buio, considerato come il gruppo di Cupertino non abbia alcuna intenzione di rivelare la soluzione del suo codice così da garantire la privacy degli utenti.
In tempi recenti, però, la giustizia è riuscita a ottenere dalla Mela la più completa collaborazione: le modalità di decrittazione non saranno svelate, ma Cupertino si preoccuperà di accedere ai device per conto della polizia e di fornire alle istituzioni preposte una copia dei dati incriminati. Peccato, però, che vi sia stato da allora un vero e proprio sovraccarico per i tecnici della mela morsicata. Il Federal Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives (ATF) qualche mese fa si è rivolto ad Apple per lo sblocco di un iPhone 4S implicato in un caso di spaccio di cocaina in Kentucky, ma l’ufficio federale non avrebbe propriamente ottenuto la risposta che si sarebbe aspettato. Così come il giudice Karen Caldwell spiega sul caso, l’AFT “sarebbe stata inserita in una lista d’attesa dalla compagnia”.
Sui dettagli del reato in questione si rimanda al resoconto dettagliato di CNet, poco rilevante ai fini di questa trattazione. Quel che conta sono, semmai, le eventuali conseguenze in materia di protezione della privacy per gli utenti. Così come sempre CNet sottolinea, questa operazione non può che essere imposta dall’autorità giudiziaria con specifiche procedure di law enforcement, così da non mettere a repentaglio la natura del quarto emendamento dell’ordinamento a stelle e strisce. E fin qui, a dir la verità, non vi è nulla di strano: senza l’ordine di un giudice, Apple di certo non può passare al setaccio le informazioni altrui. La questione davvero singolare è il fatto che le istituzioni preposte non dispongano delle adeguate competenze forensi per effettuare una copia di contenuti personali protetti da password, tanto da doversi affidare a un soggetto terzo – in questo caso al produttore – per venirne a capo. Per quanto Apple possa accedere a questi dati senza troppo sforzo, il rischio è che qualcuno contesti l’intera procedura. Google, ad esempio, in casi simili non provvedere a manipolare le informazioni, semplicemente resetta le password e le consegna agli inquirenti, i quali provvederanno direttamente all’analisi dei contenuti. Se non altro, una buona notizia per gli utenti Apple emerge da questa vicenda: gli iDevice sono talmente sicuri che nemmeno le potenti agenzie statunitensi riescono a spiarne le informazioni memorizzate.