C’è grande confusione sotto il cielo del Web italiano. La sequela di proposte di leggi speciali, appelli alla politica, reazioni della politica, dei giornalisti, sentenze contro blogger, fa impressione. Nell’isteria che sembra avere colpito il paese, arriva dulcis in fundo un comunicato del Codacons dove in spregio del pericolo si parla addirittura di «caos fuori da ogni controllo». La soluzione? Meno irrazionale del titolo: secondo l’associazione ci vuole più polizia postale.
L’ultimo in ordine di tempo a chiudere il proprio profilo su un social network è stato Enrico Mentana che, stanco degli insulti ricevuti, ha abbandonato Twitter. Molti altri colleghi hanno nel frattempo detto la loro: Beppe Severgnini – il quale non può certo essere rimproverato di non conoscere la Rete – ha scritto una lettera a Beppe Grillo dopo gli attacchi virulenti ricevuti dalle pagine del blog del comico a cinque stelle. La giornalista Selvaggia Lucarelli raccontava sempre ieri di profili aperti su Facebook inneggianti all’odio e alla violenza.
Secondo il Codacons, la situazione è insostenibile:
Sui social network regna oggi un vero e proprio caos fuori da ogni controllo, dove dilagano insulti gratuiti e minacce spesso gravi, incitazioni alla violenza, pagine che promuovono l’odio e il razzismo. E il tutto avviene sotto gli occhi dei gestori di tali social network, i quali non sembrano esercitare la dovuta vigilanza.
Oltre alla lesione dei diritti personali per chi è vittima di minacce e offese, vi sono rischi reali soprattutto per i più giovani che passano molte ore su Facebook e Twitter, e possono subire una influenza negativa soprattutto da quelle pagine che vorrebbero far passare disprezzo e violenza come una cosa normale o addirittura giusta.
Per queste ragioni – che vanno analizzate e non certo prese a scatola chiusa – il Codacons chiede pubblicamente una riforma volta ad incrementare i poteri in capo alla Polizia Postale, aumentando la capacità d’azione e «permettendo interventi immediati per oscurare siti e profili lesivi e/o pericolosi e individuare i responsabili che si nascondono dietro l’anonimato garantito dal web».
Qualche concetto da chiarire
Flaiano scrisse che in Italia «la situazione è grave ma non è seria». Parole migliori per descrivere il livello dell’attuale dibattito sulla violenza verbale in Rete non ci sono. Politici che dovrebbero essere progressisti, giornalisti affermati come Gramellini, oppure Pierluigi Battista, che oggi sul Corriere definisce Twitter «piazza dell’oltraggio», si stanno coprendo di ridicolo mostrando una totale ignoranza del mezzo.
Webnews, tramite il suo direttore, Giacomo Dotta, ha sempre combattuto queste tesi, sia quando venivano dall’estero – come con la SOPA – sia quando, con l’emendamento Fava o la proposta D’Alia, venivano dall’interno. E non per pregiudizio culturale, ma per conoscenza scientifica. Mentre in tutto il resto del mondo la Rete è al centro degli interessi della politica e della economia, in Italia – unico paese occidentale – si sprecano fiumi di parole per discutere di come frenare il vociare troppo spinto di una quota minoritaria di persone che frequentano la Rete. Ha dell’incredibile.
E dire che proprio il Corriere della Sera – ma forse Battista non lo sa – sostiene il progetto “Le cose cambiano”, che parte dalla premessa contraria: la Rete contiene sia i bacilli che gli anticorpi degli atteggiamenti discriminatori: è sufficiente usarla al meglio per combattere il peggio.
Basterebbe che questi giornalisti e commentatori a un tanto al chilo sapessero quanti e quali sono gli strumenti forniti da questi mezzi per evitare gli insulti e l’escalation delle volgarità: Facebook permette di bannare un utente, rendendosi mutualmente invisibili; ha uno strumento, sempre più raffinato, di segnalazione di contenuti offensivi che si apre da un commento, un post, in qualunque pagina del sito e che può portare all’eliminazione dell’account; su Twitter si possono creare liste, si può subordinare al following una richiesta, così da vagliarla, e naturalmente si può bloccare immediatamente un utente che non piace.
Quello che non si dovrebbe mai fare è confondere, come ancora ci si ostina a fare da parte di qualcuno, il mezzo con gli individui. E la metafora del “bar” – improvvisamente di moda – ha stancato e non c’entra niente. Quante volte si dovrà spiegare, ancora, che esistono già le norme su diffamazione e molestie perfettamente applicabili alla Rete? Quante volte il povero Rodotà dovrà spiegarlo? Lo fa da 15 anni, qualcuno tra questi permalosi commentatori vuole ascoltarlo?
Finché la proposta è quella di aumentare le forze a disposizione della polizia postale ben venga: in effetti aiuterebbe, soprattutto per i casi di truffa ai cittadini (più che per i reati di opinione). Ma che si parli ancora, en passant, di «anonimato garantito dal Web» (ma quale anonimato? Non esiste anonimato in Rete soprattutto sui social! La rete ha, volendo vedere, il problema contrario) e di sequestri di siti senza un regolare processo fa provare una immensa pena per il destino di questo paese. Si è già scritto che in Italia le startup non hanno vita facile. Si spera che non si arrivi a dirlo anche della libertà di espressione.