Gli editori ricorrono contro il decreto Profumo. Non contro i libri digitali in sé, ma contro i tempi di attuazione di quel decreto, contemplato dall’agenda lasciata in eredità dal governo Monti – parte di quei provvedimenti solo ministeriali passati poco prima dello scioglimento delle Camere – che prevede l’introduzione prima alternativa poi esclusiva degli ebook nella scuola. La ragione? Carenze infrastrutturali.
Il comunicato dell’Associazione Italiana Editori, firmato dal presidente del Gruppo Educativo, Giorgio Palumbo, ricorda la contraddizione tra il decreto dell’ex ministro Profumo e la legge votata in Parlamento:
Il decreto Profumo ha introdotto una nuova adozione digitale forzata a dispetto delle autonomie delle scuole e delle stesse capacità tecniche di scuole, insegnanti e alunni ad essere pronti già per l’anno 2014/2015. Costringerà noi editori ad annullare i nostri investimenti e a macerare i nostri magazzini, costituiti in base alla legge dei blocchi delle adozioni e calcolati secondo le ragionevoli aspettative del graduale passaggio al digitale, così come definito dal testo della legge votato in Parlamento.
Questo problema era in effetti noto: l’adozione “forzata” dei testi digitali per le classi prime dei cicli della scuola primaria e secondaria, abbinata all’abbattimento previsto dei tetti di spesa del 20% / 30% già dall’anno prossimo è frutto di una combinazione ardita tra il decreto 2.0 e la spending review, successiva alla legge 221, che ha cambiato alcune carte in tavola.
In secondo luogo, non essendosi spesa una sola parola sull’imbarazzante Iva di 17 punti superiore rispetto al cartaceo, gli editori fanno notare che si rischia di appensatire di costi l’industria già in crisi:
L’ex ministro si è basato sul falso presupposto che il passaggio al digitale comportasse un abbattimento dei costi di produzione, indimostrato peraltro. Al contrario esso richiede altre professionalità e altri costi e sconta un’iva di 17 punti percentuali in più rispetto ai libri di carta. Il danno per noi e per tutta la filiera è ancora maggiore se si considera che dobbiamo stare in questi tetti di spesa non solo per i nuovi libri digitali, ma anche per tutti gli altri già in utilizzo.
Per tutti questi motivi l’AIE ha deciso di ricorrere al Tribuinale amministrativo (essendo amministrativo il provvedimento, non una legge) perché a suo parere il decreto vìola i diritti patrimoniali di autori ed editori creando al tempo stesso un danno di sistema a tutta la filiera. Insomma, un esempio tipico di azione fatta con buona volontà verso la digitalizzazione, ma che se interpretata alla lettera può peggiorare le cose.
Occasione persa od opportunità?
La digitalizzazione del Paese passerà sempre, stando a questi problemi infrastrutturali, da queste resistenze e incomprensioni. Nel caso degli editori, l’ex ministro aveva stabilito una pratica diversa calcolando dei tetti di spesa più bassi per i dirigenti scolastici. In altri termini, più la dotazione libraria si compone di ebook, più (teoricamente) risparmia. E siccome lo Stato ha già confermato i tetti del 2013 per il 2014 e 2015, le scuole potrebbero (sempre teoricamente) utilizzare i soldi risparmiati per l’acquisto di device, come pc, tablet, lavagne multimediali.
Purtroppo però la situazione della scuola è troppo segnata dal taglio drastico di questi anni alle risorse e dalla crisi delle famiglie per pensare che tutto possa essere caricato sul semplice risparmio derivante dall’adozione di testi digitali, che gli editori – dal canto loro – ritengono necessiti di un trasferimento tecnologico che ha dei costi iniziali molto importanti.
Si vedrà se il ricorso verrà accolto al Tar – ci vorrà qualche mese – ma questa occasione persa potrebbe nuocere soltanto se non servisse a prendere nuove iniziative volte a iniettare più risorse nella scuola. E magari a riprendere il discorso in Parlamento.