L’equo compenso d’oltralpe miete una vittima illustre: il gruppo di Cupertino sarà infatti costretto a pagare 5 milioni di euro a SACEM, l’organizzazione francese a capo della protezione dei diritti di autori ed editori. Pare che nel 2011 Apple non abbia corrisposto la dovuta tassa per la copia privata, derivante dalla vendita dei suoi iPad.
Il concetto di copia privata, nell’ordinamento italiano presente come equo compenso, è quell’obolo a favore dei detentori dei diritti di copyright tratto dalla vendita di supporti vergini, memorie e dispositivi elettronici. L’assunto di base per questa tassa sarebbe la dilagante piaga della pirateria, che si avvarrebbe proprio degli strumenti sopraelencati per esplicitarsi, ma la legge rimarrebbe concettualmente sbagliata perché non è detto che chi acquista una scheda di memoria o un iDevice ricorra a materiali scaricati illegalmente. Tutti questi prodotti sono infatti utilizzabili in modalità del tutto lecite, non è dato ben sapere perché esista quindi un dazio preventivo per un illecito o un reato non di certa attuazione.
All’interno del contesto europeo della tassazione pro-copyright, pare che Apple vi sia rovinosamente caduta. La SACEM ha dichiarato di non aver riscosso i 5 milioni di euro derivanti dalla vendita di iPad 2 nel 2011 e, così, si è rivolta ai giudici. Secondo l’accusa, la Mela avrebbe incluso la tassa nel prezzo finale dei suoi prodotti – così come avviene anche in Italia, dove Apple rende ben esplicita la percentuale per la copia privata – ma non avrebbe poi inoltrato il dovuto all’associazione. Le corti hanno sentenziato la colpevolezza della Mela, che dovrà quindi corrispondere la somma all’organizzazione il più presto possibile. Nessuna comunicazione è però giunta dalle parti di Cupertino, quindi non è dato sapere se la mela morsicata accetterà le imposizioni di legge o cercherà di impugnare la sentenza oggi a suo sfavore.
Così come sottolinea The Next Web, indipendentemente dall’opportunità etica di una simile tassazione, l’episodio non contribuisce di certo alla solidità del gruppo di Cupertino in un periodo in cui è attaccato su più fronti proprio in materia di tasse. L’azienda, già accusata negli scorsi giorni da parte del Congresso USA di eludere la tassazione spostando capitali e attività in paesi esteri, non dovrebbe scivolare su procedure tanto semplici ed evidenti come quelle sull’equo compenso, anche solo per non perderci a livello d’immagine.