I ricercatori Motorola non sono certo i primi a cercare metodi originali e innovativi per l’autenticazione con servizi online e dispositivi. Si è parlato più volte degli esperimenti condotti da Google, del progetto BodyCom presentato da Microchip e di quello portato avanti dalla School of Information di Berkeley per consentire il login semplicemente pensando le credenziali di accesso. Dai laboratori dell’azienda statunitense arrivano due nuove idee, discusse sul palco della conferenza D11.
Regina Dugan, ex DARPA ora al servizio di Motorola, ha parlato di una collaborazione con MC10 per la realizzazione di chip da impiantare temporaneamente sulla pelle, che al loro interno contengono le informazioni necessarie per eseguire l’autenticazione. Visivamente sembrano dei piccoli tatuaggi (come mostrato nella prima delle due immagini allegate), da applicare ad esempio sulla cute dell’avambraccio. Questi possono essere deformati raggiungendo fino al 200% delle loro dimensioni originali senza subire rotture e, per funzionare, basterà avvicinarli al lettore a cui inviare la password.
Ancora più particolare è quanto mostrato nella seconda fotografia, una pillola da ingoiare che trasforma il proprio corpo in un dispositivo per l’autenticazione. Al suo interno un circuito che si attiva solamente a contatto con gli elettroliti contenuti negli acidi generati dallo stomaco. In questo modo viene emesso un segnale simile agli impulsi di un elettrocardiogramma, esteso a tutte le terminazioni: braccia, gambe, testa ecc. La progettazione è stata affidata all’azienda Proteus Digital Health, che ha già ottenuto dalla FDA (Food and Drug Administration) l’autorizzazione per dare il via a una fase di sperimentazione relativa a dispositivi commestibili che fungono da sensori in grado di rilevare parametri importanti per diagnosi in campo medico. Secondo quanto affermato da Dugan, sarà possibile ingerire fino a 30 “password pill” ogni giorno per il resto della vita, senza alcun rischio per la salute.
Ovviamente un approccio di questo tipo alla risoluzione del problema è ancora ben lontano dall’essere adottato su larga scala. Per i prossimi anni si continuerà dunque a digitare le proprie credenziali su computer, smartphone o tablet, affidandosi al massimo a tecnologie come quelle messe a disposizione dai chip NFC o alla scansione delle impronte digitali.