Parole libere o parole d’odio? In molti si sono posti questa domanda (che pure ha una debolezza: il suo dualismo) nelle scorse settimane, quando dal nuovo parlamento sono emerse vecchie e nuove critiche al Web e soprattutto ai social network. La prima protagonista di quel dibattito, Laura Boldrini, è anche stata promotrice di un seminario a Montecitorio, che ha cercato di mettere qualche paletto sulla questione. Ma è stato un fallimento.
A fianco della presidente della Camera c’erano nomi di primo piano, come quello di Stefano Rodotà, e di Luca Sofri, blogger chiamato a moderare il dibattito. Il seminario ha colto l’occasione della presentazione della campagna del Consiglio d’Europa “No Hate Speech”, affidata al Vice-Segretario Gabriella Battaini-Dragoni, mentre la campagna nazionale è stata illustrata dalla ministra delle Pari Opportunità, Josefa Idem.
Una Boldrini da subito troppo alterata, con troppe parole dette ad alta voce e ribadite, ha sottolineato come il tema riguardasse attualmente l’equilibrio tra il rispetto dei diritti umani e la libertà di espressione in Rete. Nessuna intenzione di immaginare forme di repressione dei social media (e ci mancherebbe), ma la presidente è stata molto chiara:
La Rete non è uno sconfinato spazio di libertà: l’obiettivo principale delle aziende rimane quello di aumentare gli utenti, numeri che vengono venduti alla pubblicità. La Rete può anche diventare luogo di istigazione all’odio.
#nohatespeech E' necessario trovare equilibrio, anche sulla Rete, tra tutela di libertà d'espressione e salvaguardia diritti umani
— laura boldrini (@lauraboldrini) June 10, 2013
L’incontro ha visto il contributo di responsabili di due protagonisti del Web: Elisabeth Linder, Politics and Government Specialist di Facebook per l’Europa, e Giorgia Abeltino, Senior Policy Counsel-Google Italia.
L’hate speech ha una specificità in Rete?
Il seminiario ha avuto un buon momento iniziale, con il sempre ottimo Rodotà che ha delineato lo scenario storico sulle libertà fondamentali in Rete. Il tema viene discusso da anni in tutto il mondo, il tema esiste. Dipende dal modo in cui concepiamo la società. Però attenzione:
Il linguaggio dell’odio viene legittimato dal mancato rispetto dell’altro. Un discorso che riguarda la politica, i politici.
Ma non servono leggi speciali, solo che con le leggi attuali è più difficile perseguire determinati reati. Anche questo è un passo importante dell’incontro:
La verità è che dobbiamo servirci del diritto che abbiamo, non un diritto nuovo, in modo più efficace.
Rodotà ha parlato anche di Facebook, dando ragione, forse per cortesia, alla Boldrini:
Siamo sicuri che la cancellazione di materiale sessista dal social non sia dovuta al ritiro della pubblicità da parte di associazioni che non accettavano la convivenza con queste parole, con questa cultura? Non dimentichiamo le ragioni economiche, e quindi la necessaria battaglia culturale. (…) La Rete è parte di un sistema, non ha sostituito tutte le altre comunicazioni. La Rete ha quelle caratteristiche: l’amplificazione, la ridondanza, ma proprio perché ci sono percorsi difficili abbiamo bisogno di incidere sull’ambiente.
Bel discorso da Presidente della Repubblica di Rodotà. Sintesi: il problema siamo noi, non internet. #nohatespeech
— Luca Sofri (@lucasofri) June 10, 2013
Le testimonianze dei genitori: era veramente il caso?
Poi è venuto il momento che ha pregiudicato tutto, e che lascia stupefatti. Nella sala, infatti, si è parlato del caso di Carolina Picchio e di altri casi di cyberbullismo, in maniera estremamente forte. Vicende raccontate, riassunte, discusse in pubblico, tramite le parole ma soprattutto la sofferenza di chi, anche comprensibilmente, è convinta che la persecuzione sul web di amici e conoscenti dei propri figli sia dettata dall’esistenza in sé di questi siti. Ragione che ha portato alla denuncia a Facebook per mancato controllo nel caso della giovane 14enne di Novara.
Ma era veramente il caso? I genitori coinvolti non sono in grado di dare un giudizio sereno su argomenti come il Web, la libertà di espressione. Una narrazione così delicata, del tutto impropria, perché anche di fronte alle inevitabili ingenuità di queste persone nessuno avrà mai il coraggio di controbattere. Una scelta che ha convinto Vittorio Zambardino a lasciare la sala.
#nohatespeech davanti all'uso spregiudicato del dolore di una madre ho lasciato la sala. Un'oscneità senza limite
— vittorio zambardino (@zambafeed) June 10, 2013
Il problema sarebbe Facebook?
Diciamola tutta: il seminario avrebbe potuto avere un aspetto tecnico interessante. Invece è diventato uno show alla Oprah Winfrey. Com’è possibile che si parli ancora di “misure preventive” sulla lotta all’hate speech? Com’è possibile che oltre alle giuste valutazioni su autoregolamentazione e campagne di sensibilizzazione si possa anche solo pensare che il problema sono ancora questi siti? Il bullismo degli anni Novanta usava gli SMS, quello degli Ottanta le lettere sui giornalini. I mezzi possono essere riempiti di idee, anche di campagne e di applicazioni rigide delle norme valide anche offline, ma non possono essere colpevolizzati.
#nohatespeech si sta trasformando in una farsa, non era difficile prevederlo
— massimo mantellini (@mante) June 10, 2013
Su Twitter, mentre il seminario prosegue, si sono scatenate le critiche a questo stile – anche se non sono mancati gli apprezzamenti – soprattutto da parte degli esperti della Rete, di blogger, giornalisti, che pensavano di partecipare a un seminario sull’hate speech di alto livello, non a uno spot su una campagna di sensibilizzazione per le scuole medie superiori promossa da persone che non riescono a pronunciare correttamente il termine cyberspazio.