Si è discusso molto in questi mesi dell’obsolescenza dello scheumorfismo rispetto al trend del momento, il flat design. E si è a lungo dibattuto sull’opportunità per Apple di abbandonare il passato – spesso caratterizzato anche da eccessi visivi – per tornare sulla via del suo proverbiale minimalismo. È quel che è successo con iOS 7, il sistema operativo mobile elaborato da Jonathan Ive e presentato lo scorso lunedì, con la condanna a morte di ogni elemento scheumorfico. In settimane di discussioni e vere e proprie lotte sui social, però, ci si è spesso dimenticati la domanda principale: il perché di questo passaggio. A rispondere a questa domanda ci pensa il Guardian, non certo evitando un piglio ironico.
Lo scheumorfismo in Apple nasce dall’azione congiunta di Steve Jobs – un fervente sostenitore di questa filosofia grafica – e di Scott Forstall, il dirigente cacciato dall’azienda senza troppi complimenti qualche mese fa. L’assunto di base vede nella grafica un aiuto all’utente – quest’ultimo non certo considerato per le sue capacità o competenze – nella gestione di un ambiente virtuale: l’user riconoscerà e premerà un pulsante solo se questo assomiglierà a un bottone reale, come quelli che può trovare sul telecomando o lo stereo di casa. Per la stessa ragione, identificherà un calendario virtuale solo se avrà le fattezze di un taccuino, un orologio solo se ne vedrà le lancette, una libreria virtuale solo se dotata di ripiani in legno grezzo. In passato, soprattutto agli albori della tecnologia consumer, questa metodologia si è rivelata decisamente funzionale: l’uomo “tecnologicamente” delle caverne necessitava di un ambiente familiare, di essere guidato passo per passo nella modernità. Così spiega il The Guardian:
«Originariamente è stato pensato per aiutare noi Neanderthal, per trovare un senso dall’abbaglio della nuova tecnologia: “Oh, ho capito. Questo somiglia a un pulsante, quindi devo premerlo”. Ma Apple si è ubriacata di scheumorfismo, ingessando gli schermi dei suoi dispositivi futuristici e minimali con l’incongruente legno finto, la pelle e i tappeti verdi. [lo scheumorfismo] È diventato brutto.»
Un simile proposito – quello di accompagnare l’utente come se fosse un’infante – ha senso al giorno d’oggi? E aveva senso nel 2007, anno di lancio del primo iPhone? La risposta è negativa. O, meglio, un secco “no” è quel che Jonathan Ive ha sostenuto per anni, spesso scontrandosi amichevolmente con lo stesso Jobs. Eppure l’iCEO non è mai tornato sui suoi passi.
A convincere la Mela al grande salto, però, non sarebbe stata tanto la volontà di rendersi più moderna, quanto una lunga serie di contingenze. La dipartita di Jobs non è stata sufficiente ad abbattere lo scheumorfismo, ci sono voluti dei passi falsi dal fidato Forstall. Prima GameCenter, un tripudio quasi nauseabondo per l’eccessivo ricordo a tavoli verdi da gioco, fiches virtuali, legno, pelle, cornici, moquette e chi più ne ha più ne metta. Poi lo scandalo delle Mappe di iOS 6, anche queste scheumorfiche ma totalmente inaffidabili, perché ci si è concentrati più sul design che sulla verifica della cartografia. Levato di torno Forstall, l’ultimo pilastro dello scheumorfismo è caduto e Jonathan Ive ha avuto finalmente carta bianca. Eliminati gli effetti glossy, estinte le ombreggiature, vietate pelli-pellicce-moquette virtuali e qualsiasi altro fronzolo non necessario. Il design si fa semplice, quasi impercettibile, e smette di distrarre l’utente. E semplice diventa anche la tipografia con il ricorso al sottilissimo Helvetica Neue Ultra Light, un font che il Guardian ha definito “hipster-friendly”. Il fatto più importante, però, è notare come Apple abbia finalmente riconosciuto all’utente la qualità di essere senziente, di individuo in grado di riconoscere un pulsante anche qualora non somigli all’interruttore del frullatore in cucina.