Esiste oppure no un diritto all’oblìo? Un parere della Corte di Giustizia dell’Unione Europea stabilisce che a occuparsene, comunque, non deve essere un motore di ricerca. Così si è pronunciato dal Lussemburgo l’avvocato generale dando ragione a Google, che in Spagna aveva fatto ricorso contro l’ordinanza del garante della privacy che obbligava la società californiana a cancellare i dati di un cittadino che non voleva più essere indicizzato. Questo obbligo sarebbe illecito.
Il parere pubblicato oggi (la sentenza arriverà tra qualche mese, ed è altamente probabile rispetti questa indicazione) potrebbe diventare un caposaldo del complesso dibattito sulla conservazione e la memoria dei dati indicizzati sui siti. Nel documento che contrasta con le decisioni dell’Agencia Española de Protección de Datos, si specifica che localizzare una informazione non implica anche la responsabilità di questi contenuti e naturalmente anche la loro eventuale rimozione:
Il fornitore di servizi di ricerca su Internet non può essere considerato come controllore del trattamento di tali dati personali ai sensi dell’articolo 2 (d), della direttiva 95/46 (…) a condizione che il fornitore del servizio non indicizzi o archivi i dati personali contro le istruzioni o le richieste del proprietario della pagina web.
I diritti di cancellazione e blocco dei dati non conferiscono alla persona il diritto di chiederla al motore di ricerca al fine di evitare l’indicizzazione delle informazioni che lo riguardano personalmente, se pubblicate legalmente su pagine web terze, invocando il desiderio che tali informazioni non siano note agli utenti di Internet quando si ritiene che potrebbero essere pregiudizievoli o qualora egli desideri essere consegnato all’oblio.
La morale è presto detta: una vecchia notizia imbarazzante continua a circolare in Rete? Il motore di ricerca serva a individuare i siti che la riportano, ma la richiesta di cancellazione segua la via maestra della richiesta all’amministratore del sito, non al motore di ricerca.
L’oblìo è un rischio oppure un diritto?
Sul diritto all’oblìo si detto e scritto molto. È famosa la presa di posizione contraria di Vint Cerf, evangelista di Internet e vice presidente di Google, che da anni ha ingaggiato la sua battaglia culturale in senso opposto: la conservazione della memoria mondiale dei contenuti in Rete prima che il bitrot (l’obsolescenza della tecnologia informatica) la renda inaccessibile. Basterebbe dare un’occhiata al progetto della Fondazione LongNow per capire quanto questo obiettivo sia urgente e importante.
Tuttavia, se questo parere legale mette per il momento alla berlina le ordinanze delle autorità nazionali (chissà cosa ne pensa Antonello Soro, che nella sua ultima relazione ha dedicato un capitolo anche a questo tema paventando azioni simili), resta inesplorato il problema tra la libertà di espressione e il diritto ad essere rappresentati nel pubblico dominio come si desidera secondo le norme presenti nelle leggi nazionali. Un esempio soltanto: un casellario giudiziario italiano è obbligato a contemplare gravità di una pena e sua scadenza e dopo un certo periodo di tempo e soltanto per certi reati, viene ripulito. Questa semplice norma non è al momento garantita, allo stesso cittadino e nello stesso caso, in Rete.