Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Duemila anni dopo il motto è ancora valido, se la Francia, dopo aver chiesto nei giorni scorsi la sospensione dell’accordo economico transatlantico, è appena stata sbugiardata dal suo quotidiano più illustre: Le Monde ha infatti rivelato che la sua intelligence opera secondo un meccanismo pressoché identico a PRISM. Le conversazioni dei cittadini francesi tra di loro e verso l’estero sarebbero «completamente intercettate».
Il datagate sta diventando un argomento colossale, e di imbarazzo mondiale. La dimostrazione è proprio il caso francese scoppiato nelle ultime ore. Oggi sulle pagine del giornale parigino viene mostrato il funzionamento del sistema della DGSE (Direction générale de la sécurité extérieure) corrispettivo francese della NSA non solo nelle funzioni ma anche nei metodi:
Messaggi di posta elettronica, messaggi di testo, registrazioni telefoniche, accesso a Facebook e Twitter vengono conservati per anni e senza alcun passaggio dal tribunale.
Lo scoop di Le Monde racconta di un supercomputer nei sotterranei dell’agenzia che cattura e conserva i metadati di mail e telefonate. Lo schema, piuttosto complesso, assomiglia in tutto e per tutto a un altro sistema europeo (stavolta britannico) svelato da Edward Snowden, Tempora. E con due casi come questi sarà un bell’affare anche per Viviane Reding. Il commissario europeo deve infatti ricucire i rapporti con gli Usa ed è strattonata da una parte dagli interessi economici dell’accordo e dall’altro dai sostenitori dello scontro frontale.
PRISM e Tempora sono un campanello d’allarme, dobbiamo procedere con la nostra riforma della protezione dei dati sia per il privato che per il settore pubblico. Un solido quadro per la protezione dei dati non è né un vincolo né un lusso, ma una necessità.
The fact that programmes are said to relate to national security does not mean that anything goes #PRISM #TEMPORA http://t.co/eTP01bFNfL
— Viviane Reding (@VivianeRedingEU) July 3, 2013
La questione big data
Ogni volta che si parla di queste tecniche si torna sempre alla medesima questione: i Big Data sono privacy oppure no? Ci vorrebbe un saggio di mille pagine (e non un articolo) per provare a rispondere a questa domanda. Certamente, uno dei nodi di questo scandalo ormai globale è che i governi e i loro servizi dicono di lavorare secondo la legge, e questo spesso è vero. Quello che si dimenticano di dire è che queste leggi sono state praticamente ignorate dalla cittadinanza, dai mass media, perché sembravano legate a irrilevanti pratiche antiterrorismo. La dimensione di questi dati, però, dice tutt’altro: intere popolazioni sono valutate, le loro conversazioni diventano materia per motori semantici e analisti che cercano singolarità. Questo meccanismo può potenzialmente essere adoperato non per prevenire il terrorismo, ma per prevenire le critiche, silenziare i problemi, modificare i rapporti di forza interni ed esterni. Insomma, per fare politica.
Emma Bonino dice no a Snowden
Nel frattempo anche in Italia si discute (e molto) del datagate. Oggi nella sala del Mappamondo il ministro degli Esteri, Emma Bonino, ha comunicato a nome del Governo in materia di gestione delle informazioni davanti alle Commissioni riunite Affari Costituzionali, Esteri e Difesa di Camera e Senato. Una seduta nella quale il ministro ha ufficialmente informato che l‘Italia negherà asilo politico all’ex contractor della NSA:
Non sussistono le condizioni giuridiche, ma resta in piedi la richiesta agli Usa dei chiarimenti promessi da Obama e mai arrivati in nessuna delle capitali europee. In gioco non c’è solo il diritto alla privacy ma un rapporto di fiducia tra alleati. E per l’Italia gli Stati Uniti sono dalla metà del secolo scorso il principale alleato. A me pare che, come governo, preservare con Washington un rapporto di fiducia sia nel nostro interesse ma sia anche nell’interesse americano e quindi la richiesta di chiarimenti risponde a questo obiettivo.
Nel dibattito molti onorevoli hanno spinto il governo a fare di più per avere chiarimenti sul caso, ma ormai è chiaro a tutti che in ballo c’è qualcosa di più grande: il concetto stesso di sovranità dei governi e dei cittadini di questi paesi rispetto alla sorveglianza di alcune potenze – in primis gli Usa – in grado di sfruttare la Rete come solo chi l’ha inventata e ospita può fare. Risposte dovranno venire dalla politica internazionale, con l’Europa (a Strasburgo ci sono già due commissioni di inchiesta) e da quella interna, con il Copasir e magari lo stesso Enrico Letta di fronte al Parlamento.