Nel fine settimana si sono registrati due brutti passi indietro sull’agenda digitale. Con perfetto stile italiano, mentre il nuovo responsabile Francesco Caio incontrava in modo informale alcuni stakeholders, la commissione congiunta alla Camera approvava emendamenti che invece di liberalizzare il wifi rischiano di renderlo impossibile negli esercizi commerciali. Il ministro dell’Istruzione, invece, dopo aver ascoltato gli editori, ha rimandato di un altro anno l’introduzione dei libri digitali nelle scuole. Lobbies e burocrazia per il momento hanno vinto.
La notizia sul wi-fi si è subito propagata grazie al deputato Stefano Quintarelli, uno dei più attivi sul fronte dell’emendamento collettivo al noto articolo 10 del decreto del fare, conversione in legge che sta dando alcuni problemi sollevati anche dal Garante della privacy. I primi due commi dell’articolo riguardante l’offerta di accesso a Internet sono stati oggetto di tre diversi emendamenti, l’ultimo dei quali a firma tutta PD, approvato il 18 luglio, recita così:
1. Quando non costituisce l’attività commerciale prevalente del gestore del servizio, l’offerta di accesso ad internet al pubblico tramite tecnologia WIFI non richiede la identificazione personale degli utilizzatori. Non trovano applicazione l’articolo 25 del decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259 e l’articolo 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155. Resta fermo l’obbligo del gestore di garantire la tracciabilità del collegamento attraverso l’assegnazione temporanea di un indirizzo IP e il mantenimento di un registro informatico dell’associazione temporanea di tale indirizzo IP al MAC address del terminale utilizzato per l’accesso alla rete internet.
2. Il trattamento dei dati personali necessari per garantire la tracciabilità del collegamento di cui al comma 1 è effettuato senza consenso dell’interessato, previa informativa resa con le modalità semplificate di cui all’articolo 13, comma 3, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e non comporta l’obbligo di notificazione del trattamento al Garante per la protezione dei dati personali.
L’emendamento da un lato risolve formalmente la questione dell’installazione facilitata esentando gli esercizi dall’obbligo di registrazione – ma è solo prendere atto della fine della Pisanu – ma dall’altro rivede la tracciabilità in senso peggiorativo: siccome era stato fatto notare che i MAC address sono facilmente mascherabili, si immagina l’associazione di un Ip all’address tramite registro. La reazione di Quintarelli è giustamente scioccata:
Se venisse confermato dall’aula, chiunque voglia dare wifi al pubblico dovrebbe installare e mantenere un server syslog, opportunamente sicurizzato (essendovi dati personali). Vedo anche un altro pericolo non da poco: essendo ovvio che l’IP address della rete interna sarà (praticamente sempre) una cosa tipo 192.168.0.X, che non fornisce alcuna informazione e tantomeno consente la “tracciabilità del collegamento”, quella frase ha senso solo se si pensa che ogni utente connesso riceva un IP address pubblico. Che, nel mondo, sono praticamente esauriti. Ma ve lo vedete il bar che per mettere il wifi deve mettere un syslog server e si fa routare un pool di indirizzi?
Così fatto, l’articolo è inservibile, tanto che si pensa ad un maxi-emendamento in Aula (come peraltro accadde anche a dicembre con la legge 221) che tolga questa assurda combinazione tra un mac address e un Ip personale – insomma: tra il dispositivo e l’Ip associato durante la connessione singola – che alla fine riesuma lo spirito della legge Pisanu.
Niente libri digitali fino al 2016: in Rete si chiedono le dimissioni della Carrozza
Le brutte notizie non sono finite. Anhe sulla digitalizzazione della scuola c’è stato un brusco passo indietro, stavolta per mano della ministra Maria Chiara Carrozza, che avrebbe deciso di rimandare di un altro anno l’introduzione dei libri digitali nelle scuole. Era l’obiettivo dichiarato degli editori, che mai avevano digerito il cronoprogramma stabilito dall’ex-ministro Profumo, già una volta costretto a spostare in avanti la deadline. Dopo il 2013 si era passati all’autunno 2014, ora tutto potrebbe slittare all’anno scolastico 2015/2016. «Fermiamo tutto», avrebbe detto la Carrozza, persuasa dalle forti proteste degli editori e dai ricorsi che già minacciano l’iter previsto dal suo ministero. Gli editori, da par loro, esultano, ma le loro parole suonano come un epitaffio all’innovazione in Italia. Per giustificare lo stop agli ebook nelle scuole sollevano eccezioni che in altri paesi non sarebbero prese sul serio:
L’accelerazione sui libri digitali non poggiava su alcuna seria e documentata validazione di carattere pedagogico e culturale, così come non sono state valutate le possibili ricadute sulla salute di bambini e adolescenti esposti ad un uso massiccio di apparecchiature tecnologiche.
#dimisionicarrozza @EnricoLetta #scuoladigitale è un #diritto
— Michele Vianello (@michelevianello) July 21, 2013
In Rete è esplosa l’indignazione per questa che è una plateale fuga all’indietro della ministra, che però si difende affermando di non aver mai dichiarato quanto virgolettato da su Repubblica dove parla di «deporre le armi». La questione è terribilmente grave e anche un po’ deprimente: tutte le statistiche e gli osservatori internazionali lamentano la lentezza della via digitale nelle scuole italiane, ma argomenti pretestuosi come quelli degli editori – preoccupati soltanto del costo del trasferimento tecnologico dal cartaceo al digitale rispetto alle adozioni dei libri di testo – riescono a bloccare un processo non più rimandabile. Si ha la sensazione di una sorta di fatale matrimonio di disinteresse tra una industria e una politica che muiono di tattica perché non hanno neanche la dignità di provare ad avere una visione.
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