La Motion Picture Association of America (MPAA) è l’associazione che racchiude i grandi produttori dell’industria cinematografica USA e non è certo la prima volta che si scaglia contro qualcuno accusandolo di pirateria. Tuttavia il caso è unico per i nomi e per le modalità dell’attacco: perché l’oggetto del contendere è Google e perché mai come in questo caso l’accusa è precisa, circostanziata, dettagliata ed approfondita.
Secondo la MPAA il motore di ricerca avrebbe responsabilità precise ed importanti nel favorire la diffusione della pirateria online. Numeri alla mano, l’associazione ha dimostrato con il report “Understanding the Role of Search in Online Piracy” come i motori per la ricerca online (e Google in primis) siano un veicolo importante che l’utente utilizza, non sempre consapevolmente, per raggiungere i lidi privilegiati della distribuzione illegale di contenuti. Ed è in questo passaggio la chiave dell’accusa: secondo la MPAA Google favorirebbe di fatto la pirateria creando strade nuove tra l’utente ed il pirata, mettendoli in contatto anche quando questi ultimi non si sono cercati direttamente. Un “plus” regalato alla pirateria online, insomma, che l’industria del copyright non intende tollerare oltre, anche e soprattutto alla luce di ricerche che suggeriscono addirittura una forma di collusione basata sull’advertising.
Che tra Google ed MPAA non scorra buon sangue è cosa risaputa: soltanto nel 2012 il team di Mountain View si era apertamente schierato contro i moniti dell’MPAA per il blocco dell’embedding, considerando quest’ultimo strumento un pericolo per la tutela della proprietà intellettuale. Ora però dalla Motion Picture Association of America giungono numeri che sembrano inchiodare il motore e che rivoltano una frittata che Google aveva precedentemente descritto con altri numeri, altre formule, altri punti di vista ed altre deduzioni. Laddove Google spiegava di aver fortemente ridotto i flussi di ricerca verso i siti pirata, infatti, la MPAA completa invece il quadro spaccando il capello per analizzare non soltanto il numero delle query, ma anche il tipo. E ricorda il dato principe: l’82% delle visite su siti pirata provenienti da motore di ricerca, provengono da Google. Dato non solo credibile, ma anche ovvio: l’egemonia del motore è nota, il che ben motiva il fatto per cui la navigazione pirata, come peraltro l’intero corpus della navigazione online, sia fortemente dipendente dagli umori e dagli algoritmi del vigile primo del traffico online.
L’utente medio che arriva su un sito pirata, infatti, compie solitamente una ricerca che può essere catalogata in una delle seguenti categorie:
- Dominio pirata (36,6%): qualcuno che cerca direttamente un sito pirata, digitando ad esempio “megavideo” o altri riferimenti noti;
- Titolo (8,8%): qualcuno che cerca semplicemente dei contenuti (es. “Lost”, “Game of thrones”) e di qui arriva comunque al sito pirata;
- Generico (28,8%): qualcuno che cerca frasi relative a film o telefilm quali “vedere tv online”, “film gratis”, eccetera.
Passando attraverso i motori, insomma, si può arrivare ai siti pirata anche non conoscendone in alcun modo il nome o l’esistenza, ma passando semplicemente per query in qualche modo correlate. La ricerca dimostra inoltre come i motori siano un veicolo privilegiato soprattutto per coloro i quali si introducono per la prima volta alla ricerca di materiale pirata, trasformando la ricerca in vero e proprio rito di iniziazione verso riferimenti o abitudini che si rendono in seguito consolidati nel tempo.
Infine, il dato di fatto: dopo l’annuncio Google di nuove strategie di lotta alla pirateria, secondo le rilevazioni della MPAA non sarebbe di fatto cambiato nulla, anzi. I motori di ricerca erano e rimangono uno dei flussi principali di traffico verso la scoperta e l’utilizzo dei siti pirata, smontando alla base il teorema secondo cui i filtri imposti da Mountain View possano in realtà ostacolarne l’avanzata.
La MPAA sembra insomma descrivere le ricerche pirata online come una sorta di fiumana di query che, seppure incontri un ostacolo (Google dichiara di bloccare fino a 25 mila link ogni settimana), si divide in rivoli differenti ed arriva comunque all’obiettivo. Se Google oppone un filtro parziale, insomma, lava la propria immagine ma non può in realtà ottenere risultati apprezzabili. E secondo la MPAA, infatti, non se ne sono ottenuti.