Una piccola crepa nel muro cinese. No, la Grande Muraglia non c’entra, quella è sempre la stessa da 22 secoli, mentre il blocco del governo di Pechino nei confronti di Internet potrebbe alleggerirsi. Secondo alcune indiscrezioni riportate dal South China Morning Post, nella zona di libero scambio di Pudong a Shanghai, sarà possibile visitare alcuni siti bloccati nel resto del paese, tra i quali Facebook, Twitter e il NYT.com, censurati tra il 2009 e il 2012.
La Cina, si sa, è in assoluto il paese che vive la contraddizione più forte rispetto all’era dell’information tecnology. Colosso economico che vanta un ruolo centrale nella produzione globale di dispositivi, è ancora formalmente una società collettivista con un partito unico in contrasto coi modelli politici occidentali; nega i diritti civili, ma non lesina critiche agli Stati Uniti, colpevoli dello spionaggio rivelato da Edward Snowden, il wistleblower che proprio da Shanghai rivelò l’attività della NSA; è il paese con più intruder, ma il suo responsabile per Internet ha appena dedicato un discorso al rapporto tra libertà e sicurezza della Rete.
Quel che non potè la politica, in ogni caso, ha potuto l’economia. La zona commerciale della straordinaria città del sud della Cina si estende per 30 kmq tra Pudong, il duty free di Waigaoqiao, il porto di Yangshan e l’aeroporto internazionale, ed è troppo frequentata da persone provenienti da tutto il mondo perché il governo possa ignorarla. Pensando in particolare ai manager delle aziende straniere che lì vi operano e alla possibilità di liberalizzare più facilmente la moneta locale con il capitale in dollari.
Così, per rendere più attrattiva Shanghai (lo è già sul versante normativo e fiscale, ovviamente) per i suoi danarosi ospiti Pechino chiuderà un occhio e permetterà l’accesso a siti Internet considerati «politicamente sensibili», compresi i più noti social network.
Un esperimento che non nasce dal nulla. Il governo cinese, infatti, aveva già concesso questa deroga agli hotel di lusso della città. Sulla terraferma la situazione è totalmente bloccata, nessuno può visitare questi siti e persino Google e Gmail hanno talvolta black out nonostante le restrizioni di base. Ma un passo alla volta si fanno grandi marce nel paese di Mao Tse Tung.
C’è però un altro punto di vista, più sottile. E se anche il governo cinese avesse capito alla luce del Datagate che un po’ di Rete e di Big Data tutto sommato non fanno poi così male a chi preferisce monitorare la popolazione?