Un inizio di rifinanziamento di capitoli che erano rimasti prosciugati. Così il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha definito la parte di investimenti nella legge di stabilità presentata ieri a palazzo Chigi, nella quale si ritorna a parlare del piano nazionale banda larga. La spesa autorizzata è di 20,75 milioni di euro. Una goccia nel mare, per dirla tutta. Servirà a qualcosa?
Non è certo la prima volta che ad una legge di stabilità viene collegato il piano nazionale banda larga. Esattamente due anni fa, nella stessa occasione, la cifra importante di 800 milioni di euro svanì senza lasciare traccia. Altri tempi, politicamente parlando, sono passati altri due governi bipartisan da allora, ma fino a ieri non si era più parlato della questione infrastrutturale più compromessa del paese, la più deficitaria, come mostra anche la tabella del Ministero dello Sviluppo.
Ora, l’articolo 4 della legge recita testualmente:
Per il completamento del Piano nazionale banda larga, definito dal ministero dello Sviluppo economico – Dipartimento per le comunicazioni e autorizzato dalla Commissione europea (aiuto di Stato n.SA.33807 (2011/N)-Italia) è autorizzata la spesa di 20,75 milioni di euro per l’anno 2014.
Che occorra affrontare e possibilmente colmare il digital divide del Belpaese lo sanno tutti, così come non c’è praticamente nessuno minimamente preparato sull’argomento che pensi bastino 20 milioni di euro. Bisogna sperare si tratti di un primo rifinanziamento al quale ne seguiranno altri. Tuttavia, la sensazione di una debolezza intrinseca di queste iniziative si fa strada anche nell’osservatore e commentatore meglio disposto: se davvero si è così lontani dalla banda larga, venti milioni sono meglio di niente? Oppure niente sarebbe più sincero e non darebbe pretesti a nessuno per continuare a non incidere seriamente sul problema?
Laura Puppato (PD) nelle ultime ore ha bocciato in toto il provvedimento, ricordando come per la banda larga servirebbero cifre «dieci, cento volte superiori». Uno specchietto per le allodole, in qualche modo, che smuove acque oltremodo stagnanti senza però dare alcuna speranza in prospettiva. A onor del vero il nodo cruciale sembra in questa fase un altro: il destino dell’infrastruttura di rete sotto il controllo di Telecom Italia. Tuttavia l’identificazione delle priorità sembra essere un mero esercizio di stile quando nella realtà quotidiana il paese si trova soffocato da penetrazione performance di rete del tutto deficitarie (il picco massimo di velocità nel paese risulta essere, secondo gli ultimi dati Akamai, il più basso su tutto il vecchio continente).
L’elenco degli altri investimenti presi in considerazione dal governo è ovviamente ricco e generalmente anche più finanziato: si va dal MOSE di Venezia ai fondi per la Salerno-Reggio Calabria, dalla ricostruzione dell’Aquila all’Ecobonus. Voci sintetizzate nelle infografiche allegate al comunicato stampa, dove non a caso la banda larga neppure viene citata così come nelle linee guida.
Aggiornamento (18 ottobre, h. 11): i venti milioni spariscono
Nell’ultima bozza della legge di stabilità – sottoposta a molte pressioni e critiche dalle parti sindacali e confindustriali e che potrebbe persino portare alla dimissioni del vice ministro Stefano Fassina – è sparita la specificazione sulla cifra. Lo dice il CorriereComunicazioni, che ha letto l’ultima versione del testo. La spiegazione, convincente, è che il governo non può reintrodurre quel denaro che è stato cancellato dal Decreto del Fare solo pochi mesi fa, uno stralcio dal fondo per l’agenda digitale che colpisce soprattutto il centro nord.