Sarà per i vertici a Bruxelles sul tema dell’agenda digitale e il mercato delle telecomunicazioni, sarà per il richiamo di alcuni governi, come la Francia, alle rivelazioni sui dati catturati dalla NSA, ma il Datagate è tornato alla ribalta delle cronache politiche del vecchio continente, compresa l’Italia. Oggi palazzo Chigi ha ospitato il segretario di Stato USA John Kerry, mentre il Copasir terrà un’audizione col sottosegretario Marco Minniti, chiamato a dare qualche spiegazione alla luce delle parole del generale John Inglis, vicedirettore dell’Agenzia americana ospitato un mese fa, che senza farla troppo lunga si è rivolto ai colleghi italiani chiedendo: «Di cosa vi stupite?».
Il Datagate è ormai un fatto assodato. Il problema è capire fino a che punto le regole d’ingaggio di questa agenzia possano cambiare e in che senso, come lo stesso Obama ha lasciato intendere in un lungo giro di telefonate prima dello sbarco del suo segretario di Stato nelle maggiori capitali europee. La logica della NSA, spietata, è semplice: l’infrastruttura permette di intercettare i dati una volta fuori dai confini nazionali. I carrier e i provider americani nei quali finiscono miliardi di metadati, record di vario genere, originati da cittadini stranieri, finiscono nella loro eleborazione senza autorizzazione federale – che viene concessa preventivamente tramite il FISA (la norma post-11 settembre, origine di tutti i mali) – e il senso di questa sorveglianza è combattere il terrorismo e la criminalità internazionale. Anche se magari ci scappa qualche volta un mero interesse economico nazionale e il confine tra sicurezza e spionaggio politico-industriale è molto sottile.
Le reazioni italiane
Non che sia mancata qualche tiepida reazione nel Belpaese, dai diversi attori di questo dedalo di responsabilità. Il Garante della privacy Antonello Soro ha scritto una lettera a Enrico Letta nella quale richiama il bisogno di garantire la protezione delle conversazioni telefoniche e dei dati sensibili dei cittadini, premendo proprio per il sostegno al progetto di legge europeo di Viviane Reding.
Di mezzo però c’è ben altro: il traffico dati è nel suo aggregato utile entro certi limiti, nessuno però sa dire – anche perché la NSA non l’ha mai detto – quale sia il livello di qualità della conservazione e del trattamento. Si parla di telefonate, email, chat, dati dei social.
Fabio Chiusi, probabilmente il free lance più preparato sull’argomento in Italia, dalle sue pagine ha rivolto ieri dieci domande a Letta, alle quali il presidente non ha risposto. E anche oggi le risposte latitano in questo affaire che per quanto complesso non sembra neppure alimentare un minimo di sdegno come accade invece oltre le Alpi, in Francia e in Germania:
Il punto della situazione sulle (non) reazioni del governo italiano sul caso NSA. In breve: Letta non rilascia dichiarazioni (si affida a «fonti di Palazzo Chigi» tramite agenzia); il suo sottosegretario, Minniti, parlerà al Copasir ma con nessun altro (sarà per via del «dovere di chiarezza» di cui parla Alfano); il suo consigliere diplomatico solo ieri sera mi garantiva al telefono che non c’era niente di nuovo e dunque Letta non ne avrebbe parlato con Kerry (smentito poche ore dopo); nessuno ha chiarito niente. (…) Il risultato è che le richieste di chiarimenti si moltiplicano, ma l’unica presa di posizione dettagliata e nel merito del governo sarà fornita non al pubblico ma a un comitato parlamentare in un incontro a porte chiuse.
Letta non parla. Il suo consigliere diplomatico non sa nulla. Minniti non rilascia interviste. Ecco la trasparenza del governo sul caso NSA.
— Fabio Chiusi (@fabiochiusi) October 23, 2013
Il Copasir
Nonostante le costanti rassicurazioni del leghista Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza, è sempre più arduo credere che intercettazioni globali così massicce non abbiano toccato anche i cittadini italiani. Nell’audizione di oggi, ovviamente a porte chiuse, il sottosegretario Minniti, con delega alla Sicurezza della Repubblica, terrà un’audizione di fronte ai parlamentari nella quale, pare, sostanzialmente confermerà la tesi più istituzionale del grado di coinvolgimento dei cittadini italiani nel Datagate: le intercettazioni ci sono state, ma sono legali e riguardano un’attività antiterrorismo che non vìola i diritti né l’amicizia e fiducia tra i due stati.