Google è il miglior luogo dove lavorare che esista al mondo. E se qualcuno pensa che sia l’eccezione nel super competitivo mondo delle multinazionali della silicon valley è in errore: dietro Big G ci sono altre due società californiane. Questo il responso della classifica di Great Place to Work, l’osservatorio internazionale che ha premiato per la prima volta Mountain View.
La sua politica sul personale, eccezionalmente innovativa, ha fatto la differenza. Google ha dei piani di conciliazione lavoro-famiglia inimmaginabili in Europa (per non parlare dell’Italia), tipici della mentalità americana, capaci di superare steccati ideologici (ad esempio i generi sessuali), limiti normativi. Tutto pensato per concentrare la massima energia delle risorse umane verso gli obiettivi dell’azienda. Insomma, non è la numero uno al mondo per gli open space e i nerd che girano in skate – quello che ce l’hanno tutti – ma per la produttività dei dipendenti collegata alla loro soddisfazione: entrambe ben oltre la media.
Gli altri nomi della classifica
Spulciando la classifica generale si scoprono altri nomi noti. Dietro Google altre tre tech-society: Sas, NetApp e Microsoft, che ha migliorato di un gradino la posizione dell’anno scorso. Tutte multinazionali californiane. Al decimo posto Cisco, al 16° la telefonica.
Cambiando i filtri della ricerca e andando nella classifica delle migliori 100 compagnie europee, la musica non cambia: in questo caso è proprio Microsoft ad essere al primo posto, seguita da alcune società nate in Europa e altre con sedi storicamente molti forti nel vecchio continente come Hindi, National Instruments, Novartis.
L’Italia non c’è, da nessuna parte
L’esperto di smart city, Michele Vianello, lo twitta apertemente: se si parla di agenda digitale, non dimentichiamo che il nostro sistema è ancora fordista mentre gli altri non lo sono più.
Cosa c'entra con l'#agendadigitale e quell'ultimo luogo del fordismo che è la nostra Pubblica… http://t.co/gzkCrnijUJ
— Michele Vianello (@michelevianello) October 23, 2013
Ha perfettamente ragione, alla luce anche della spaventosa assenza di una qualunque società italiana nella graduatoria, che considerando il grado di internazionalizzazione non poteva che punire pesantemente l’impresa made in Italy. Anche selezionando le società di medio-piccole dimensioni non c’è verso di trovare dell’italianità neppure al 50° posto. E si guarda alla classifica complessiva, anche la presenza delle multinazionali sul suolo italiano si sta impoverendo: da dodici che erano due anni fa, ora sono soltanto otto.