La scorsa settimana si è celebrato il 15esimo anniversario di SEGA Dreamcast, console lanciata sul mercato giapponese il 27 novembre 1998. Forse sarebbe meglio dire “non si è celebrato”, anche a causa dell’attenzione mediatica tutta rivolta al debutto di Xbox One e PlayStation 4. A tre lustri di distanza è possibile affermare che la piattaforma non ha ottenuto il successo meritato: un ciclo vitale di soli tre anni non ha reso giustizia ad una macchina che, in qualche modo, ha contribuito a rivoluzionare il mondo dei videogame.
Chi come il sottoscritto ha superato le 30 primavere ricorderà con un po’ di nostalgia lo stile sfacciatamente arcade ma altrettanto spettacolare delle azioni in Virtua Striker (a proposito, EA Sports e Konami potrebbero riprendere l’idea di assegnare un punteggio ai gol nelle rispettive simulazioni calcistiche), oppure l’entusiasmo nello scoprire ogni angolo della mappa open world di Shenmue. Agli altri basterà sapere che Dreamcast è stata di fatto la prima console videoludica a introdurre funzionalità come il multiplayer online (grazie al modem incluso), l’aggiunta di contenuti extra tramite DLC e la visualizzazione di informazioni su un secondo schermo, un decennio prima di Xbox SmartGlass, smartphone e tablet.
Il tutto con un comparto hardware che oggi verrebbe considerato piuttosto modesto: processore da 200 MHz, 16 MB di RAM, risoluzione massima dell’output video pari a 480p, con il funzionamento basato su una versione di Windows CE appositamente modificata da Microsoft. Le specifiche erano al tempo di gran lunga superiori rispetto a quelle della concorrenza: il Nintendo 64 offriva ad esempio una CPU da 93,75 MHz e 4 MB di RAM (espansibili fino a 8 MB). Un paio di anni più tardi arrivò sul mercato la PlayStation 2, con una scheda tecnica migliore e giochi evoluti dal punto di vista grafico, spingendo così SEGA a gettare la spugna.
Anche il controller fu in grado di rompere con la tradizione: un layout inedito per stick, D-pad e pulsanti, arricchito da uno slot per la Visual Memory Unit, una sorta di memory card con schermo secondario e controlli indipendenti. I giocatori potevano portaela sempre con sé e cimentarsi con minigame in ogni momento, poi tornare a casa, inserirla nuovamente nel joypad e vedere i frutti del loro impegno direttamente sulla TV.
Caratteristiche potenzialmente rivoluzionarie dunque, che non hanno però saputo tradursi in un successo dal punto di vista commerciale. Forse è stata una console fin troppo d’avanguardia, capace di gettare le basi per le future evoluzioni del panorama videoludico senza però beneficiarne direttamente. Oggi la piattaforma è un pezzo da novanta per retrogamer e collezionisti: in tutto il mondo ne sono state vendute meno di nove milioni. Celebrare il suo 15esimo compleanno è un atto dovuto per tutti i gamer che si definiscono tali. Senza quella bizzarra scatola bianca e grigia, oggi PS4 e Xbox One sarebbero quasi certamente diverse. Buon compleanno Dreamcast!