La webtax tiene ancora banco nella discussione della legge di stabilità. Anzi, il suo primo ideatore, Ernesto Carbone (Pd), ha appena rilanciato con un emendamento che non mancherà di far discutere: invece di pensare alla partita iva obbligatoria, si taglia la testa al toro e viene proposta una modifica alla nozione di “stabile organizzazione” per la legge italiana. In soldoni, chi utilizza in modo tecnologicamente stabile la Rete italiana è azienda che opera in Italia. Una rivoluzione possibile?
All’epoca delle polemiche e fortissimi contrasti per la cosiddetta webtax, cancellata in Senato e ricopiata alla Camera, aveva detto con un tweet rivolto a Webnews «il meglio deve ancora venire». Le cose sembrano in effetti stare proprio così. Basta leggere la Relazione Illustrativa del gruppo di lavoro radunatosi attorno a questa proposta, composto di ingegneri e giuristi, per capire che si tratta di un rilancio in grande stile.
@VivianiMarco @webnewsit il meglio deve ancora venire…
— Ernesto Carbone (@ernestocarbone) November 26, 2013
L’emendamento sulle imposte dirette
La premessa dell’emendamento introdotto già in sede di commissione Bilancio è che, in materia d’imposte dirette, i redditi d’impresa di soggetti non residenti sono tassati in Italia solo se derivano da attività esercitate mediante «stabile organizzazione». Ma oggi, con l’avvento delle tecnologie informatiche e Internet, le imprese straniere che prestano stabilmente servizi in Italia non hanno la necessità di avvalersi sul territorio nazionale di una sede in senso tradizionale. Questo è il punto che l’emendamento cerca di risolvere aggiungendo un comma all’articolo 162 del TUIR, il Testo Unico sulle Imposte Dirette. E che così recita:
Costituisce stabile organizzazione l’utilizzo abituale della rete nazionale, sia essa fissa, mobile o satellitare, per trasmettere dati da elaboratori elettronici, localizzati anche al di fuori del territorio nazionale, verso indirizzi IP italiani, al fine di fornire servizi online, ivi inclusi quelli consistenti in tutte le azioni poste in essere al fine di attribuire maggiore visibilità sulla rete internet al fruitore del servizio, compresi banner o finestre di pop up visualizzati nelle pagine web, indicizzazione e visualizzazione di link sponsorizzati sui motori di ricerca, annunci pubblicitari trasmessi via email, visualizzati all’interno di social network o per mezzo di applicazioni su dispositivi mobili.
Se spacchetti, ti tasso
La proposta andrà vagliata con attenzione nei prossimi giorni, e non mancherà certo di far esplodere il conflitto con le multinazionali tech, che i ben informati dicono essere già riuscite a fare pressioni sul Ministero del Tesoro per seppellire la proposta sulle partite iva sulla base della mancata cornice europea. Con questo comma, infatti, si individuano i fornitori di servizi come il diplay advertsing, serch engine, email advertising, social media advertising e si afferma, molto nettamente, che la trasmissione dati, cioè la commutazione di pacchetto, è la versione in bit delle caratteristiche fisiche delle aziende di una volta. In termini più tecnici, viene spiegato così:
È possibile determinare la frequenza, e quindi l’abitualità, con cui determinati pacchetti, provenienti da un preciso indirizzo IP (univoco per ogni elaboratore sulla rete), attraversano i dispositivi di instradamento dei provider nazionali, avendo come destinazione finale ulteriori indirizzi IP relativi ad elaboratori (client) localizzati sul territorio italiano.
Pertanto, un flusso di dati con un elevato tasso, presuppone sia un preciso target di riferimento per il business sia la costante fruizione di infrastrutture di rete localizzate sul territorio nazionale, da cui si possa evincere una nuova forma di stabile organizzazione.
Facebook e Google non diventano italiane
La proposta di Carbone non pretende ovviamente di far diventare italiana un’azienda che non lo è. L’escamotage stabilisce che operano in Italia seguendo il testo sulle imposte dirette e scavalca l’obbligatorietà di aprire una partita iva, facendo rientrare le attività dell’azienda sotto la tassazione nazionale, in tutto e per tutto, senza distinzioni con le aziende tricolore che pagano già quelle tasse (notoriamente più alte). Per ottenere questo scopo, si sostiene che tutti coloro che anche dall’estero indirizzano servizi verso IP italiani operano in Italia. Difficile dire quanto possa essere accolto e quali siano le conseguenze giuridiche ed economiche di questo assunto. Di certo non passerà inosservato.