Per il copyright in Italia oggi è il day after. Assorbito il colpo dell’approvazione del nuovo regolamento dell’Agcom sul diritto d’autore, in Rete continua il dibattito e si sprecano le prese d’atto, i commenti pro e contro, le analisi del testo. Anche se fino alla prossima primavera non sarà vigente, è bene cercare di capire cosa cambia nella lotta alla pirateria digitale per tutti gli attori coinvolti.
Il nuovo regolamento approvato ieri e passato senza aspettare l’ingresso del nuovo consigliere Antonio Nicita e senza passaggio presso la commissione parlamentare, è incardinato su due aspetti: il primo è educativo, il secondo, quello molto criticato, si occupa con poteri e strumenti inediti per la normativa italiana della notifica e della chiusura delle pagine web incriminate per violazione del copyright.
Gli elementi distintivi e più importanti del testo sono tre e tutti contengono definizioni e metodi talvolta confusi e persino enigmatici.
- Poteri giudiziari a un ente amministrativo. Con queste norme l’Authority si dota della possibilità di regolamentare in modo amministrativo delle fattispecie di reato, illeciti presenti nel codice penale e civile. Questo potere è molto discutibile, sia perché la magistratura è già più volte intervenuta a tutela dei service provider o dei consumatori quando c’è stato un abuso nella chiusura dei siti (e l’intervento della magistratura sospende in ogni caso l’attività dell’Agcom), sia perché i provider sono chiamati in caso di hosting con sede all’estero ad oscurare tramite blocchi degli IP. Questa possibilità è considerata del tutto arbitraria e, secondo alcuni, persino incostituzionale. È il parere, ad esempio, del giornalista Alessandro Longo:
Gli oscuramenti dei siti tramite blocco dell’IP sono un machete che impediscono agli utenti di vedere siti accusati di pirateria e li bloccano interamente (anche nelle parti legali, come le recensioni). Sono quindi di fatto un blocco di una comunicazione bidirezionale senza ordine del giudice: inaudito in un Paese democratico.
- Introduce nuove definizioni di opera digitale, di gestore, di prestatore. Il testo dell’Agcom è nuovo anche nell’introdurre la definizione di opera digitale quale «un’opera, o parti di essa, di carattere sonoro, audiovisivo, fotografico, videoludico, editoriale e letterario, inclusi i programmi applicativi e i sistemi operativi per elaboratore, tutelata dalla Legge sul diritto d’autore e diffusa su reti di comunicazione elettronica». È intuitivo come questa definizione non sia d’aiuto, ma è con la separazione tra gestore di pagina Internet e gestore di sito Internet che il testo rischia di combinare un pasticcio. Il distinguo nasce per evitare le criticità sorte con la bozza di luglio, ma la toppa è peggio del buco: non è chiaro come l’Agcom pensi di agire nei confronti dell’autore dell’illecito evitando di confonderlo con chi ne permette soltanto l’accesso. Il testo non aiuta a comprendere quello che si dovrà fare con i gestori di commenti su un blog, con gli uploader di contenuti su piattaforme di condivisione, e c’è la netta sensazione che gli unici a pagare di certo siano gli ISP, con multe che possono arrivare anche a 250 mila euro.
- Abbrevia i tempi. La procedura di notice and take down del regolamento Agcom viene accelerata in modo impressionante: dalla notifica dell’apertura di un procedimento da parte dell’autorità alla controdeduzione degli interessati passano al massimo cinque giorni. L’intera procedura può durare al massimo 35 giorni e nel caso dei provvedimenti urgenti – per violazioni massive del copyright, quindi perlopiù estere – si concedono tre giorni. Dopodiché, se i contenuti non vengono spontaneamente rimossi l’Agcom procede alla sanzione, che comporta la richiesta dell’oscuramento del sito.
Il tango down di Anonymous, il ricorso certo al TAR, l’Europa
Questo regolamento viene considerato un potenziale nemico della Rete, non solo dalla cultura hacking, che comunque si è fatta sentire con il tango down, ieri sera, al sito di Agcom. la questione è più delicata e complessa.
#AGCOM #tangodown #anonymousitaly #justice #freedom http://t.co/euY26raknf
— Anonymous Italia (@OPAnoItaly) December 13, 2013
Giuristi, associazioni di consumatori, sigle collegate all’impresa nel Web (ISP, telco), grandi colossi della Rete come Google, sono preoccupati per i meccanismi di funzionamento di queste regole, che non sono riuscite a stabilire cosa si intenda fare con la rimozione selettiva dei contenuti illeciti: concetto lasciato sulla carta, ma che viene considerato poco attuabile dagli estensori stessi del regolamento. Tutto sembra ricadere sui content provider italiani, l’unico obiettivo abbastanza grande da poter essere colpito con efficacia. Ragion per cui sono già annunciati ricorsi presso tutti i tribunali, a partire dal TAR del Lazio.
Ragazzi,si,lo impugniamo il Regolamento #AGCOM siamo già tantissimi,tutte le Associazioni possono chiamare me o tutti gli altri,tranquilli
— Fulvio Sarzana (@fulviosarzana) December 13, 2013
Rinunciando a ogni ipotesi di deep packet inspection, come richiesto da Bruxelles, si sente nel regolamento la mancanza di un progetto sul follow the money, cioè sulla capacità di seguire il percorso del denaro per individuare i responsabili. Il rischio è che la battaglia legale congeli la norma e si protragga per così tanto tempo da arrivare alla scadenza del mandato politico del Parlamento, e forse fino al nuovo regolamento sul diritto d’autore di marca europea, previsto entro il 2015. In questo caso, Bruxelles potrebbe anche stancarsi delle polemiche italiane e imporci un “copia e incolla”. Prospettiva non priva di vantaggi.